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Così muoiono le imprese aquilane
06 Ago 2013 09:13

È un quadro tinte fosche quello che traccia Massimiliano Mari Fiamma, segretario generale di Apindistria, sulle imprese aquilane e del cratere.

Oggi L’Aquila è la città dove si registra la pressione fiscale più alta d’Italia. A giudizio di Mari Fiamma, sulle imprese della città terremotata pende ancora la spada di Damocle della restituzione integrale delle imposte non versate durante il periodo di sospensione del sisma, nonostante “l’emendamento killer”, che riproponeva la restituzione al 100%, nel caso in cui le aziende interessate non fossero riuscite a dimostrare il nesso di causalità tra danno subìto e vantaggio economico ricevuto, sia stato stralciato.

Una vicenda che riguarda circa 7 mila “partite Iva” che rischiano di dover ripagare i contributi previdenziali Inps e Inail per una cifra che sfiora il miliardo.

“Il pericolo non è del tutto scampato- commenta Mari Fiamma-Il governo potrebbe ancora richiederci quelle somme. Tutto nasce da una richiesta di chiarimenti che l’Unione Europea aveva inoltrato al governo italiano sulle agevolazioni riconosciute ai territori colpiti da calamità naturali dal 2002. Il governo non ha fornito le informazioni richieste e l’UE, paventando l’ipotesi di aiuti di Stato, ha aperto una procedura d’infrazione”.

Il governo Monti ha lasciato la patata bollente ai terremotati e INPS e INAIL (ma non l’Agenzia delle Entrate) hanno richiesto alle imprese del cratere aquilano la restituzione integrale dei contributi non versati, nonostante la legge preveda che la restituzione avvenga al 40% in 10 anni.

Il pericolo sventato una prima volta, si ripresenta con il Governo Letta che reintroduce l’emendamento nel decreto lavoro. Emendamento poi stralciato.

Per ben due volte il provvedimento è saltato, “ma temo- continua Mari Fiamma- che sarà riproposto, anche perché il governo italiano non si è battuto per L’Aquila, non ha cercato di spiegare all’Europa la nostra difficile situazione rispetto ad altri terremoti. Né tanto meno ha chiesto all’Europa come si è comportata nei confronti di altri paesi e soprattutto come mai, mentre in un primo momento si sono chieste delucidazioni per tutte le calamità naturali, successivamente è stata eliminata la posizione dei territori alluvionati”.

Chiederemo un’audizione in Parlamento per chiarire meglio la situazione dell’economia aquilana. Se si considera inoltre che in Italia, mediamente la pressione fiscale che grava sulle imprese è del 68% e a questo si aggiunge che le imprese del cratere stanno già restituendo il 40% di quelle non versate, a differenza di altri territori dove la restituzione è avvenuta dopo 12 anni, si comprenderne che le imprese in queste condizioni muoiano”.

Ma non finisce qui. È un fiume in piena Mari Fiamma “A questo scenario va aggiunta anche la questione delle bollette Enel. Durante l’emergenza sisma- spiega- l’Enel aveva concesso un’agevolazione su luce e gas e le bollette arrivavano decurtate del 30%. Il governo nel 2012 non ha chiesto all’Authority di prorogare il sistema di agevolazioni , dunque siamo tornati a pagare le bollette al 100%, restituendo anche le somme non verste. Una stangata da 90 milioni di euro”.

Ironia della sorte è la stessa somma della zona franca in tre anni”. Con una mano si dà, con l’altra si toglie.

Il dato paradossale è che il settore più in crisi è proprio l’edilizia, che in tempi di ricostruzione dovrebbe essere quello trainante.

“L’edilizia, dopo un primo momento florido, è in difficoltà. Con il sistema della Cassa Depositi e Prestiti i fondi arrivavano con fluidità. Adesso arrivano con il contagocce e molti lavori sono fermi. Ad essere in crisi sono anche i rivenditori di materiali edili”.

La maggior parte delle imprese è in difficoltà. Dal 2010 ad oggi c’è stato un crollo del fatturato del 25% nel cratere. La cassa integrazione ha raggiunto livelli d’allarme e prima o poi si tradurrà in licenziamenti. L’ultima proroga della CIG è stata approvata senza la necessaria copertura finanziaria”.

Ed è solo apparente l’aumento delle Partite IVA “Molte attività che prima erano in centro storico non hanno chiuso la partita IVA. Si sono trasferite altrove, delocalizzando e aprendo una nuova attività”.

Neanche il “de minimis” riuscirà a portare una reale boccata d’ossigeno all’economia locale.

“Chiariamo subito una cosa- prosegue il segretario di Apindustria- Il de minimis non è un finanziamento, come credono in molti. È un tetto massimo, di 200 milioni di euro in tre anni, superato il quale, l’aiuto dato alle imprese costituisce concorrenza sleale nei confronti del mercato. Qualsiasi agevolazione arrivi, zona franca, fondi CIPE…, il tetto massimo resta sempre di 200mila euro. Per tre anni l’impresa è bloccata. Non può avere più sostegni, se supera i 200 mila euro. Se poi la restituzione delle tasse non versate dovesse essere ricompresa nel tetto del de minimis, oltre al danno ci sarebbe la beffa”.

“È difficile che un’impresa decida di rimanere a L’Aquila in queste condizioni. Chi resta, lo fa solo perché è radicato profondamente al territorio, nonostante sia un territorio avaro di riconoscimenti”.

Ma una speranza per uscire dal tunnel c’è.

Sì, la ripresa ci potrà esser se investiamo su nuove infrastrutture. La vicinanza con Roma è strategica e i collegamenti, come il rafforzamento della ferrovia Pescara Roma sono necessari. Ma penso anche alle moderne tecnologie, come la wireless. Questa città dovrebbe imparar ad investire sui giovani talenti, che il nostro Ateneo sforna e che fuggono sempre più spesso altrove, perché qui temono di non aver futuro”.

Foto: La Buona Economia


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