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Così stanno uccidendo le università del #Sud
12 Ago 2015 06:44

Questa storia delle classifiche che puntualmente condannano il Sud. Nei giorni scorsi pubblicata una solita nota: le università. Con quelle del Sud tutte agli ultimi posti. Sia in classifica generale, sia per settori: dalla didattica alla ricerca, dall’attrattività alle borse di studio. Una condanna secca. Che giustificherebbe la fuga degli studenti, soprattutto dalla Puglia: primatista nazionale (in negativo) per la differenza fra i suoi ragazzi che vi si iscrivono e quelli che vanno altrove.

Siccome queste classifiche non lasciano indenni, è bene chiarirsi una volta per tutte. Nulla da dire sui risultati, molto da dire sui metodi per arrivarci. Il valore di una università dipende in gran parte dai fondi a sua disposizione. Ne abbiamo già scritto: i criteri di assegnazione di questi fondi nazionali penalizzano le università del Sud. Perché si dà di più alle università che riescono a far pagare più caro ai propri studenti avendo così un bilancio più solido. E a quelle università si consente di sostituire più facilmente i docenti che vanno in pensione. In sostanza si privilegiano i territori più ricchi rispetto a quelli meno ricchi. Facendo passare per peccato e non virtù le tasse di iscrizione più basse o gli esoneri più numerosi.

Ma non è la sola stravaganza. Sono più ricche anche le università che ottengono più finanziamenti dai privati. Ovviamente quelle dei medesimi territori più ricchi, dove ci sono i privati più facoltosi. E dove c’è la stragrande maggioranza di quelle fondazioni bancarie che spendono al Nord anche gli utili fatti dalle banche del Nord al Sud.

Altro criterio di assegnazione dei fondi (la cosiddetta premialità): gli anni che i ragazzi impiegano per laurearsi. Al di là dei meriti personali, è molto probabile che uno studente del Sud ci metta di più perché costretto a lavoretti per pagarsi gli studi. Ecco i fuoricorso non per scelta ma per necessità. Infine maggiori fondi alle università i cui iscritti trovano in più breve tempo lavoro dopo la laurea. Ovvio che sia più facile al Nord, dove c’è più lavoro non solo per i neolaureati. Con gli studenti meridionali penalizzati due volte: avere meno lavoro e avere università con meno possibilità perché in giro c’è meno lavoro.

Arrivasse un marziano sulla Terra, si chiederebbe di quali turbe soffriva l’inventore di tale trappola. Sarebbe banale rispondere di antimeridionalismo. Diciamo solo che il parametro per stilare le classifiche delle università è la ricchezza dei territori in cui sono, non il loro valore. Premio alla ricchezza invece che sforzo di equiparazione: alla faccia della Costituzione. E disegno chiaro di creare poche università di serie A e un purgatorio di tante di serie B. Università del Sud affamate e diffamate. E gli studenti che se la filano sono un effetto non la causa.

Questo non vuol dire assoluzione per le università del Sud. Sappiamo quanti studenti sono mandati al macello con corsi di laurea più utili a conservare il lavoro ai docenti che a farlo trovare agli studenti. Sappiamo di corsi di laurea sclerotizzati in programmi fuori dal tempo e dal mondo. Sappiamo di docenti più impegnati in laute consulenze personali che nella ricerca scientifica pubblica. Sappiamo di quanti figli, nipoti, amanti si riesca a piazzare sbarrando la strada a tanti giovani meritevoli ma senza baroni alle spalle. Sappiamo di tanti corsi decentrati inutili e improduttivi che non si chiudono perché il direttore perderebbe poltrona e potere. Un’autonomia spesso tradotta in fatti propri.

Si potrebbe dire: sono mali comuni a tutta l’Italia, e non solo all’Italia universitaria. La stessa agenzia che valuta le università (l’Anvur) spende oltre il 16 per cento dei suoi averi per pagare i suoi componenti (per cui, secondo alcuni calcoli, ogni sua delibera costerebbe 100mila euro). Guarda chi fa la lezione. Ma il Sud deve avere il coraggio di pulire casa prima di lamentarsi.

Sempre in questi giorni sono stati pubblicati dati secondo i quali la crisi economica ci ha consegnato un Sud ancòra più lontano dal Nord e dall’Europa. Prefigurando il ricorrente incubo di un deserto fra imprese che muoiono, giovani che vanno via, figli che non nascono più. Tutto in linea con altre classifiche solitamente note, quelle sulla qualità della vita: altra Waterloo per il Sud. Ma la qualità della vita dipende anche dalla qualità delle università, prima ridotte in quelle condizioni poi rinfacciate. E si misura da tanti servizi pubblici molto più carenti al Sud senza però dire che, secondo i suoi stessi dati, lo Stato li finanzia al Centro Nord molto più che al Sud.

Traduzione: prima li riduco in quelle condizioni, prima do più ai ricchi, poi con le classifiche accuso i poveri di essere poveri. Per sua fortuna non esisterebbe Italia senza Sud. Ma esiste un’Italia che non è mai ciò che potrebbe perché ignora, anzi rifiuta, tanta parte di se stessa.

 


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