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Ho incontrato (e abbracciato) le #femminedelluva
27 Mag 2015 02:31

L’altro ieri pomeriggio ho incontrato una ventina di quelle che da noi vengono chiamate con affetto le “femmine dell’uva”.

Lavoratrici stagionali del terziario, queste signore sono coloro che scelgono con cura e pazienza frutta e verdura e poi le sistemano nelle cassette da imballaggio pronte per il mercato estero.

Le guardavo, nel loro dopo lavoro, affannate e stanche ma sorridenti.

Guardavo i loro occhi da ragazza, limpidi, azzurri, verdi o color miele, illuminarsi mentre mi raccontavano dei figli.

Uno ingegnere in Germania, l’altro ginecologo in Israele, un altro informatico a Milano. Nascondevano le mani screpolate sotto il camice azzurro, mentre raccontavano dolori, speranze, rassegnazione.

Quelli dei figli lontani che forse non torneranno mai, quelle di avere un futuro più dolce, più sicuro per chi ha i figli ancora piccoli. Quella che nulla possa cambiare, che il ceto sociale più povero resti sempre in un limbo, come i bambini mai nati, o i figli di nessuno.

Le guardavo e pensavo a una canzone, quella delle Ragazze dell’Est di Baglioni.

Le guardavo e pensavo che sarebbe bello aiutarle davvero, restituire linfa e fertilità a questa terra. Riportare i loro figli qui a ricostruire e a riscrivere il futuro.

Le guardavo con il timore che nonostante tutto le cose restino immutate a causa di chi ambisce solo al potere personale, non al Bene Comune, e che questa terra sfiorisca del tutto.

Allora le ho abbracciate una ad una e mi sono lasciata abbracciare.


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