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I pescatori arrestati per la rete troppo stretta
07 Mar 2015 06:55

L’equipaggio della nave Idra Q, peschereccio di proprietà della società armatrice Italfish s.r.l. di Martinsicuro (Teramo) che ha una base operativa anche in Senegal, ed i loro familiari stanno vivendo ore tremende, d’ansia e d’attesa.

Il peschereccio, guidato da un abruzzese, ha subito un’ispezione di bordo al largo del Gambia in Africa da parte dei militari del posto ed è saltato fuori che le maglie di una rete da pesca non erano regolari: la stessa, al momento dell’ispezione, non era in uso ma si trovava sul ponte.

I militari, notata la rete, hanno subito misurato, con il righello, l’ampiezza delle maglie ed è risultato che erano di 68 millimetri di larghezza al posto dei 72 regolamentari.

Quindi più piccole di appena 4 millimetri, ma tanto è bastato a scatenare il putiferio.

L’equipaggio è stato posto in stato di fermo per una decina di giorni mentre il 2 marzo, a conclusione di un’udienza “sommaria”, sono finiti in carcere a Banjul, capitale dello stato africano, il comandante Sandro De Simone di Silvi Marina (Teramo) ed il direttore di macchina, Massimo Liberati, di San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno).

La Farnesina si è  attivata e sta seguendo la vicenda attraverso l’ambasciata italiana a Dakar, competente in Gambia: “Una decina di giorni fa – spiegano all’ufficio della Italfish srl che sta gestendo il caso – un equipaggio armato della Marina militare locale è salito a bordo e ha intimato al comandante di raggiungere il porto più vicino. Hanno contestato presunte violazioni per una rete presente a bordo, ma non utilizzata, una rete le cui maglie, misurate, sarebbero poco più strette di quelle previste. Erano in stato di fermo, ma poi, a seguito di udienza, sono finiti in carcere. Sono stati arrestati. Un armatore è sul posto, mentre un altro è a Dakar, in contatto con l’ambasciata”.

De Simone, comandante della Idra Q., è ripartito dall’Italia circa un mese fa dopo un periodo trascorso a casa. Suo fratello Cesare, di Silvi (Ch), racconta che “una quindicina di anni fa, in Somalia, era stato sequestrato dai pirati per diversi mesi. Portato a terra, aveva vissuto in una capanna – spiega – poi l’armatore era riuscito a far rilasciare lui e gli altri tre membri dell’equipaggio”.

La moglie, come ha riferito il fratello del comandante, è rimasta in contatto con il marito “e l’ha sentito l’ultima volta il 2 marzo”. “Solo l’intervento urgente del ministro Martina e del ministro Gentiloni – dichiara Luigi Giannini presidente di Federpesca può scongiurare un esito pesantissimo e sproporzionato, visto che le reti considerate oggetto di misurazione non erano quelle in uso all’atto del fermo”.


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