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La terra #avvelenata del Molise. L’esperto: “catena alimentare a rischio”
11 Giu 2015 07:37

“Nel nostro territorio insistono attività a forte impatto ambientale che esercitano da un decennio e immettono in aria sostanze tossiche riconosciute nocive dalla scienza e dalla legge. Studi internazionali evidenziano come in questi territori, interessati soprattutto dalla presenza di inceneritori, aumentano in modo vertiginoso patologie allergiche, respiratorie, oncologiche e cardiache soprattutto nelle donne e nei bambini. Nel nostro territorio non esiste uno studio epidemiologico, il Registro dei tumori è inattivo, non esiste un monitoraggio serio delle immissioni di inquinanti nell’aria, e, se tutto ciò fosse falso, la verità non è dato saperla”.

Un quadro drammatico, una denuncia dettagliata. Dall’Ilva di Taranto? Dalla Terra dei Fuochi? No, dal Molise. Dall’Isola inFelice, resa tale da certa politica, complice e dannosa. Brava a difendere l’indifendibile e incapace a risolvere i drammi della popolazione. Sono le Mamme per la Salute e l’Ambiente di Venafro che parlano, che si battono, che non si arrendono. Un gruppo di donne agguerrite, le vere sentinelle del territorio. Operano nella provincia di Isernia, precisamente a Venafro. Territorio martoriato per gli affari della Camorra (in passato diverse ditte, come la Rer e la Fonderghisa, sono state utilizzate per affari illeciti e criminali), per la presenza di impianti altamente inquinanti, per lo sversamento di rifiuti, per la pessima qualità dell’aria. “Aver scoperto che l’aumento di alcune patologie – precisano le donne coraggio – è strettamente connesso all’inquinamento ha indotto un gruppo di mamme a capirne di più, tanto da ritenere, oggi, che la tutela della nostra salute, di quella dei nostri figli, e delle generazioni future è la priorità assoluta”.

Ma in Molise nulla si muove. Si tende a minimizzare, ad evitare gli odiosi allarmismi. Necessari. Ne è convinto il giudice Ferdinando Imposimato, che già alla fine degli anni ’80 denunciava le infiltrazioni malavitose: “senza allarme sociale non può esserci la reazione della popolazione”. Grazie alle Mamme per la Salute di Venafro sono stati portati alla luce i risultati di diverse analisi: su una foglia di fico, prelevata nei pressi della Colacem di Sesto Campano; nella polvere di cemento, proveniente dallo stesso cementificio. “L’inquinamento sulla foglia di fico – scrive il dott. Stefano Montanari, responsabile dell’azienda Nanodiagnostics di Modena – induce a prendere precauzioni per l’ingestione di prodotti dell’orto o dell’agricoltura cresciuti nella zona in cui tale inquinamento esiste”.

Viene riscontrata la presenza di particella di ferro, con titanio e manganese. Nel cemento presenze di uranio e torio, elementi radioattivi. “Dette ceneri – aggiunge Montanari – potrebbero provenire anche dallo stesso stabilimento che, bruciando rifiuti, potrebbe smaltire le derivanti ceneri mescolandole al cemento. Se ciò fosse vero che tipo di rifiuti o altro combustibile brucia la Colacem per trovarci in presenza di sostanze altamente tossiche e nocive quali uranio e torio?”. Nel 2010 e nel 2011 due casi di diossina nella carne bovina. Le mamme di Venafro denunciano anche la presenza di diossina nel latte materno. Riscontrata dai tecnici dei laboratori del consorzio interuniversitario di Chimica di Marghera (Venezia).

“Un dato molto preoccupante che conferma ciò che temevamo: la diossina e i suoi composti sono entrati prepotentemente nella catena alimentare”. Solo diossina? “Ci si ammala gravemente di tumore – spiega Daniela Battaglia, esperta Fao di produzione animale -, sono molte le leucemie e i linfomi, corrono voci insistenti sull’esistenza di numerosi casi di interruzioni di gravidanza, di casi di sterilità maschile, di giovani donne che vanno in menopausa precocemente, di una popolazione infantile affetta da patologie allergiche e respiratorie. Si incentivano costruzioni di nuovi altri mostri quali biomasse, biogas, turbogas, centri di raccolta rifiuti di cui si viene a conoscenza solo a cose fatte e decise nei palazzi”.

Sul territorio della provincia di Isernia, tra Sesto Campano e Monteroduni, sono presenti sia Herambiente (ex Energonut): un inceneritore nato come impianto a biomasse, che brucia quasi 100 mila tonnellate di rifiuti l’anno, unico impianto operante in Italia che funziona senza AIA, e la Colacem: un cementificio tra i più grandi d’Europa, che brucia quasi 25 mila tonnellate di rifiuti ogni anno, che opera senza AIA. A differenza di Herambiente, “che ha tentato in ogni modo di sottrarsi”, nel 2007 ha richiesto l’avvio della procedura. Attivata nel giugno del 2013, ma dal 7 ottobre dello stesso anno tutto è sospeso.

“Dai rapporti di prova dell’ARPA Puglia emerge – ha certificato il dott. Stefano Raccanelli, già dirigente del laboratorio di microinquinanti dell’Inca (il consorzio interuniversitario ‘La Chimica per l’Ambiente’) di Venezia – che la ditta Colacem, cementificio che brucia CDR non è in grado di rispettare i limiti imposti dalla legge in vigore per le emissioni per PCDD/F “diossine”. Anche per l’impianto Energonut di Pozzilli dai rapporti di prova dell’ARPA Puglia emerge che le emissioni di diossine risultano tutt’altro che rassicuranti”.

Lo scorso 18 aprile è stato organizzato, a Venafro, un convegno dal titolo “Ambiente, Salute ed Economia”, dove è intervenuto anche il prof. Gianni Tamino, già docente di Biologia presso l’Università di Padova e componente del Comitato scientifico dell’ISDE (Medici per l’Ambiente). “Dai rapporti di prova effettuati nel 2011 – ha affermato Tamino – sull’inceneritore e sul cementificio i dati sulle diossine sono poco rassicuranti”.

Cosa significa?

Va chiarito che per le diossine parlare di limiti è un discorso piuttosto parziale, perché dobbiamo sempre tener presente che si tratta di sostanze in grado di alterare il sistema endocrino, cioè il sistema ormonale, e di produrre tumori. Quindi un valore sotto il quale non c’è effetto non esiste. Questi valori sono comunque preoccupanti perché la pericolosità delle diossine si misura in miliardesimi di milligrammo per chilo di peso corporeo, oppure per quantità di sostanza grassa. Tenendo conto di tutti questi aspetti i risultati sono abbastanza preoccupanti, le analisi esistenti parlano di situazioni preoccupanti. Abbiamo, ad esempio, nella carne bovina quindici casi superiori al livello d’azione e ben due non conformi. Il fatto che vi siano parecchi campioni o di uova o di carne che rappresentano i punti della catena alimentare superiore, cioè per le diossine passando da erba a erbivori e poi a carnivori si ha un incremento costante della quantità di diossine concentrate nel grasso. Se la diossina era presente nella matrice ambientale (erba, fieno, ect.) gli animali lo concentrano al proprio interno nella parte grassa.

Lei, nel suo intervento in Molise, ha citato due casi: Herambiente e Colacem. Perché?

Sono sicuramente due casi emblematici, ma non gli unici, cui sicuramente le diossine vengono emesse. Siccome noi abbiamo nel contesto ambientale circostante all’area industriale, comunque nel territorio di Venafro, delle zone dove si accumula diossina nei prodotti animali è interessante vedere quelle attività aziendali dove è più facile che ci siano emissioni di diossine.

Tracce di diossine sono state trovate nella carne bovina e nel latte materno.

Quello è ancora più preoccupante, perché la madre è il terzo livello. Se noi consideriamo la catena alimentare c’è prima l’erba, poi gli erbivori e poi i carnivori. Man mano si ha un aumento della concentrazione. Sulla base di questi dati vediamo che le concentrazioni sono ancora gravi, perché dobbiamo tener presente anche quant’è il limite di legge per la quantità di diossine, per esempio, nel latte bovino. Non si può mettere in commercio se supera un certo limite. Avere quasi 10 picogrammi per grammo di grasso nel latte materno, tenendo presente che attualmente il valore per il latte è intorno ai quattro a livello di latte da vendere, come latte da alimentazione, vuol dire che abbiamo una quantità di diossine nel latte materno, cosa che succede spesso nelle zone inquinate come può essere Taranto o Brescia, superiore a quelle che rendono ammissibile la vendita del latte bovino.

Il picogrammo è un’unità di misura del peso che equivale a un miliardesimo di milligrammo.

Esatto. Una quantità minima, bastano poche molecole per determinare delle alterazioni del funzionamento del sistema ormonale.

È stata compromessa la catena alimentare?

Sicuramente. Noi troviamo una matrice ambientale dove le emissioni di diossine ci sono e sono accertate perché abbiamo valori nell’ordine non lontano dal grammo, come emissione di Colacem, e di milligrammi, come emissioni annue di Hera. Tenendo presente che la diossina può durare nell’ambiente più di dieci anni, ogni anno si accumula l’anno precedente. Quindi abbiamo una situazione di vari grammi nell’ambiente e quando la pericolosità è a miliardesimi di milligrammo abbiamo miliardi di volte, sparsi nell’ambiente, quantità pericolose che possono accumularsi, attraverso la catena alimentare, nelle piante che diventano foraggio, negli animali e poi nell’uomo.

Quali sono i rischi per la salute umana?

È noto che la diossina può determinare alterazioni, sicuramente può essere cancerogena. Ma non è solo questo. Molte malattie degenerative possono essere indotte da queste variazioni di regolazione ormonale che sono determinate da questi interferenti.

Nel 1991 l’OMS stabilisce, per le diossine, una dose tollerabile giornaliera pari a 10 picogrammi. Nel 2011 l’UE riduce la dose a 2 picogrammi. Nel 2012 si interviene sui lattanti. Secondo i suoi dati, nella provincia di Isernia, si sfora il limite giornaliero?

Probabilmente si, bisognerebbe fare ulteriori ricerche. Ma il fatto che trovi quei valori nella carne bovina, nelle uova e nel latte materno significa che incominciamo ad avere una pericolosità, particolarmente grave se riguarda donne incinte e bambini. Queste alterazioni si ripercuotono nell’arco di tutta la vita e possono addirittura essere transgenerazionali.

Lei ha affermato che la quantità di diossina emessa dipende dalla quantità di materiale bruciato. Si brucia troppo nelle aziende citate?

Non dovrebbero bruciare, è un errore. Il rifiuto non va bruciato, perché ogni volta che brucio il rifiuto determino inquinamento e perdo la materia contenuta nei rifiuti. I rifiuti vanno, prima di tutto, ridotti come quantità e poi selezionati e riciclati per recuperare le materie prime.

E sulla qualità del materiale cosa possiamo aggiungere?

Qualunque cosa brucio le diossine si formano. Se brucio legna produco diossine, se brucio rifiuti produco diossine, se brucio rifiuti selezionati, anche senza plastica, le diossine si formano lo stesso.

Le Mamme per la Salute e l’Ambiente oltre a denunciare la presenza di diossina nella carne bovina e nel latte materno hanno fatto analizzare una foglia di fico e della polvere di cemento. Sulla foglia sono state riscontrate particelle di ferro, con titanio e manganese, mentre nella polvere di cemento uranio e torio.

Quando brucio qualcosa ho una quantità di sostanze chimiche che vengono immesse, liberate nell’aria come inquinanti nell’ordine di migliaia di composti. Ogni volta che brucio qualcosa, tipo materia organica, inevitabilmente produco migliaia di diversi composti chimici. Quando abbiamo parlato di diossine ci siamo limitati ad un solo aspetto di queste emissioni, ma le stesse aziende, ovviamente, ammettono di produrre una gran quantità di altri tipi di composti, in particolare di metalli pesanti, alcuni dei quali molto pericolosi. Sulla base stessa delle dichiarazioni di emissioni, ad esempio della Colacem, possiamo parlare di una quantità che è di circa centinaia di tonnellate di polveri sottili.

Cosa contengono le polveri?

Al loro interno contengono o le diossine o i metalli pesanti o gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA).

Cosa sono?

Dei composti cancerogeni complessi che si formano grazie alle combustioni. Quando si fa la carne alla brace e vediamo quel colore nerastro, quelli sono gli idrocarburi policiclici aromatici.

Dal suo intervento è emerso che la Colacem, ogni anno, emette dai suoi camini circa 400 tonnellate di polveri, rilevanti quantità di metalli pesanti, IPA e 0,7 grammi di diossine. Che significa? È un pericolo per la salute?

Sicuramente le quantità di polveri sono enormi e proprio l’Arpa Molise dichiara che la situazione è critica per l’inquinamento atmosferico e quella delle polveri sottili, i cosiddetti PM10. Vi son stati, nelle indagini fatte, vari superamenti dei limiti giornalieri, di conseguenza la norma vorrebbe che nelle aree in cui vi sono stati questi superamenti non si introducano nuove fonti di emissioni di polveri sottili. Invece sono stati autorizzati una quantità elevatissima di camini, come la Colacem, ma anche per Hera. Lo ammette la stessa Hera che gli inquinamenti sono di IPA, …

Ecco, passiamo ad Herambiente. In un anno 20g di IPA; 17mg  di diossine; 1kg di Mercurio; 2 kg di cadmio e tallio; 2,5 tonnellate di ossidi di zolfo; 2,3 tonnellate di acido cloridrico; 123 tonnellate di ossidi di azoto; 2,5 tonnellate di ammoniaca; 0,5 tonnellate di polveri; 0,74 tonnellate di sostanze organiche. Vale lo stesso discorso fatto per la Colacem?

Sono quantità inferiori, ma rilevanti. Abbiamo sostanze cancerogene, le diossine sono di meno ma non per questo irrilevanti. Abbiamo, però, un chilo all’anno di mercurio, due chili di cadmio e tallio, mezza tonnellata di polveri particolarmente pericolose. Esclusi i transitori.

Lei lo scrive anche nella sua relazione. Cosa sono i transitori?

Sono quei momenti in cui l’impianto viene acceso e spento. Un po’ come l’automobile, se uno a freddo accende la macchina vede che dal tubo di scappamento escono fumi neri molto più pericolosi di quando è avviata e ha raggiunto la temperatura e il normale livello di marcia. Questi valori che riporto sono senza calcolare i transitori, che possono essere molti nel corso dell’anno.

Lei parla di cattive scelte di bruciare, perché l’illusione della soluzione inceneritore non elimina i rifiuti, non produce energia, ma produce inquinamento. Esiste un’alternativa?

Certamente. Tenendo presente che se si vuole eliminare i rifiuti bruciarli vuol dire moltiplicarli circa per quattro. Se sommo il peso degli inquinanti che vanno in atmosfera più le scorie e i rifiuti che rimangono sotto forma di polveri e ceneri pesanti moltiplico per quattro volte il valore di partenza. Aumento l’inquinamento.

Qual è la soluzione?

Tendenzialmente nel produrre meno rifiuti, soluzione possibile se cominciamo a ragionare eliminando tutti i materiali che servono per il confezionamento. Usiamo tantissima quantità di carta per confezionare un prodotto che compriamo per il contenuto. Bisogna eliminare gli imballaggi, comprare le cose che durano e non il materiale usa e getta, per esempio. Dobbiamo ridurre i rifiuti. Quelli che restano devono essere materiali pensati in partenza per essere riciclati e non bruciati.

Il territorio della provincia di Isernia è definitivamente compromesso?

Certamente tutta l’Italia è compromessa da questo punto di vista. Abbiamo zone ben peggiori, pensiamo a Taranto e ad altre parti del Paese. Sicuramente è assurdo che un’area, che fino a poco tempo fa si caratterizzava per un ambiente sano, per un’agricoltura di allevamenti, adesso abbia ricevuto tutta una serie di attività industriali che non sono tipiche della zona, ma vengono o dall’Umbria o dal Nord Italia. Sono state importate una serie di attività industriali, particolarmente inquinanti.

Esiste una speranza per il territorio e per la popolazione?

Purché si cambi politica industriale, si modifichi la logica e non si vada a rincorrere attività inquinanti per eliminare errori, nella logica produttiva, scaricando in aree, come quella di Venafro, attività che sono solo inquinanti, magari importando rifiuti o attività da altre zone dove preferiscono passare ad attività meno pericolose.


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