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La #scuola può salvare il #Sud, come ha fatto con me. Iniziamo dai #bambini
19 Ago 2015 08:02

“Per ogni problema complesso, c’è sempre una soluzione semplice. Che è sbagliata.”

George Bernard Show

 

“Scusi: davanti a tutti questi “feriti”, buttati a terra dai “ladroni” – come dice la parabola del Samaritano (Lc 10, 30ss.) – cosa deve fare il sindaco, cioè il capo ed in certo modo il padre ed il responsabile della comune famiglia cittadina? Può lavarsi le mani dicendo a tutti: – scusate, non posso interessarmi di voi perché non sono uno statalista ma un interclassista?” 

Giorgio La Pira

 

Questa è una storia comune, comune a tante, tante siciliane.
La mia nonna paterna rimase vedova con quattro figli proprio all’inizio della guerra, un calcio del mulo piantato per bene in pancia e mio nonno, contadino, dopo qualche settimana di tormento, morì. Nonna rimase con un figliastro avuto dal primo matrimonio del nonno, prigioniero in Africa, e i suoi tre figli, le mie due zie, mio padre, piccolo italiano della gioventù balilla, come ogni bambino d’Italia,  che stava iniziando la scuola media, e un giardino di arance, sulla strada che portava da San Biagio Platani ad Alessandria della Rocca, in provincia di Agrigento del Sud più Sud d’Italia.
Dopo qualche giorno con lo stesso mulo che le aveva portato via il marito, mia nonna, le mie due zie e mio padre, all’ alba s’ incamminarono; c’erano da potare le arance e da lasciare a metà strada mio padre, che poi proseguiva per 5 chilometri a piedi, verso Alessandria, con una borraccia, un panetto di crusca, un  quaderno e un libro. Le mie zie no, si erano fermate alle medie, uno solo poteva studiare e forse nemmeno lui.

Mia madre al volgere della guerra aveva sei anni, nel ’46, ed era ricca. Suo padre era burgisi, borghese, amministrava un feudo, avrebbe fatto tutte le scuole, addirittura il collegio, uno dei migliori, dalle suore ad Agrigento. Vestiva bene, mangiava meglio e tornava a casa solo il tempo delle feste. Il tempo per scambiare i suoi biscotti, o il suo pane fresco e zucchero, con il panetto di crusca delle figlie di quelli “a giornata”, chè a lei piaceva immensamente di più. E di seguirle quel giorno che occuparono proprio il feudo amministrato dal padre all’urlo di “vogliamo le terre”. “Stupidotta! Ma quella è già terra tua..” La nonna materna era piena di fisime, non usciva mai al sole, mai. Inorridì nel vedere le sue due figlie, un’estate degli anni ’50 tornare da Mondello abbronzate (dov’era mai sto Mondello per  la madre di mio padre, con le mani callose e il viso arso dal sole?). Non le fece uscire di casa fino a Natale, nonna Rosalia. E quando un anno, io e tutte le mie cugine, ci regalammo un’estate a Pantelleria con nonna, lei rimase per due settimane rintanata nell’angolo più buio del dammuso. Che vergogna, il sole! Manco fosse un drago.

Leggeva e rileggeva i suoi libri, Shakespeare per lo più.  E poi Tolstoj e Dostojevskij. Tutte le famiglie felici sono uguali, ciascuna poi è infelice a modo proprio. Andava ripetendo quando le normali tragedie della vita si abbattevano. Aveva solo la licenza elementare ma era coltissima. Erano gli stessi libri che leggevo a voce alta da piccolina, mentre lei e mia madre ricamavano. “Gioia mia, studia, ti devi laureare, devi fare l’ingegnere” “Ma nonna, gli ingegneri stanno al sole!” ”Ti copri tutta e ti metti il cappello, stai dritta sulla sedia, zitta e leggi” Quei libri, pieni delle sue note e dei miei disegnetti stanno ancora là. Dove li ha lasciati lei.

Questo era il Sud e questo è. Ricchissimo per alcuni, e poverissimo per altri. Le luci di allora si sono mantenute e sono identiche le ombre, tante, troppe. Ci sono tante cose splendide, tantissime realtà positive e vincenti, vero è,  il danno è che non fanno sistema, nei numeri si perdono, alcuni dicono perché oltre a mancare le infrastrutture manca un ecosistema sociale pronto a diffonderle e replicarle. Sono d’accordo. Sole e buio. Al sole non vedi perché la luce ti acceca, all’ombra c’è troppo buio per discernere e allora sono le ore dell’alba e del tramonto, quelle del silenzio, che aiutano a leggere le cose.
Costruire un ecosistema socioculturale diverso dunque. Si può e si deve iniziare da ciò.

Tutto questo pippone per dire cosa? Per ripetere insieme a Bernard Show che non ci sono risposte semplici, va tutto male, governo ladro, o va tutto bene, madama la marchesa. Se son semplici sono sbagliate. Il nocciolo della complessità della risposta è nell’indissolubile legame/opposizione tra luce che acceca e buio che avvolge. E’ questa la vera questione meridionale, i divari nord sud sono correlati ai divari interni che disegnano una continuità impressionante tra un sistema feudale di diseguaglianze, economiche, culturali e sociali, quale era prima dell’Unità d’Italia e la fotografia di oggi. Un sistema fondato su usi e costumi e mentalità che sono trasmigrati senza soluzione di continuità dall’allora, al poi, all’oggi.

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1. SERVI E SIGNORI

Il Sud non ha conosciuto la stagione dei Comuni, delle Signorie, l’Umanesimo e il Rinascimento, la stagione dell’Uomo che si autodetermina e muta il destino,  ma solo quella  immutabile di signori, signorotti e servi della gleba. Non ha conosciuto una stagione di benessere post-unitario (se non con l’eccezione della Palermo fin de siecle e liberty) perché da noi la middle class ha fatto fatica a formarsi ed è sempre stata una middle class di “provenienza”, nobiliare o popolare, che ha confermato gli assetti sociali anziché mutarli in una mobilità sociale moderna. Un assetto trasmigrato pari e patta in un sistema economico prevalentemente statale, assistenziale spesso, non autonomo. Signori, signorotti e servi della gleba tutti e tre assolutamente privi di senso dello Stato, di senso civico, di predisposizione alla cittadinanza attiva e alla salvaguardia di interessi comuni. Per motivi storici e strutturali: è il sistema che crea i sentimenti, diceva Levi Strauss, e il sentimento quello è. Condizioni che hanno reso difficilissima se non impossibile l’autoimprenditorialità. Le eccezioni non fanno, appunto sistema. Lo provano i numeri. Signori, signorotti e servi della gleba legati da un meccanismo di mutuo ricatto e da interdipendenza perenne. Non da autonomia, da libertà, da indipendenza necessarie a creare sviluppo economico. I primi due decisamente contrari ad ogni tentativo di mobilità sociale, come minaccia all’esercizio del privilegio.

2. INTERESSE PRIVATO

L’interesse al Sud è sempre privato, individuale, porta a porta, non pubblico, collettivo, di piazza, se non per recriminare; anche se si nutre di soldi pubblici rinnega lo Stato e lo inganna quando non esiste in Sicilia regola che non possa derogarsi, in virtù di quell’interesse; la politica negli anni non ha avuto nessun interesse a mutare il paradigma, questo ha fatto e questo fa per vincere, cavalcando la tigre, assicurarsi il consenso salvaguardando interessi particolari, di singoli o di gruppi, come segno di esercizio di potere. E’  feudalesimo. E identicamente ha fatto la Mafia. La politicaha agito nella legalità, la seconda nell’illegalità, ma entrambe seguendo lo stesso meccanismo: un paternalismo morale o amorale, legale o illegale, ma lontano anni luce dal concetto profondo di cittadinanza attiva come azione autonoma, indipendente, libera dentro lo Stato e per lo Stato che insegue interessi generali anche col rischio di perdere qualcosa per se stessi nel breve periodo, in vista di un vantaggio collettivo e generale nel lungo periodo. E’ una forma egoismo sociale storicizzato e privatizzato che solo la scuola e un’istruzione mirata maggiormente alla trasmissione di valori collettivi e di cittadinanza potrebbe scardinare.

Non mi appassiona il dibattito sulla lettura positiva o negativa di quello che è il Sud. Il Sud sono mio padre e mia madre, povertà e ricchezza, cultura e ignoranza, variamente combinate, che solo la scuola ha unito in un comune destino di crescita individuale che si è fatta sociale. Entrambi maestri hanno vissuto per la Scuola nella Scuola. Il Sud è mia nonna materna, per la quale tutto andava bene; attenzione, si è sbracciata per avere quello che aveva, suo marito, il burgisi, lavorava 48 ore su 24, stai composta e leggi. Ma era una vita di privilegio. Il Sud è mia nonna paterna che col suo mulo assassino alle 3 del mattino col buio, due figlie e un bambino andava a potare le arance e per tutta la vita così visse senza mai sollevarsi. Ma era un destino.  Il Sud è entrambe che mi invitavano: mila non stare con la testa in aria, sii concreta. Nessuna delle due era ottimista e nessuna delle due era pessimista. Per tutta la vita oscillanti tra destino e privilegio mai tra libertà e indipendenza. Era gente positiva però ciascuna è rimasta al suo posto. Il destino dei loro figli lo ha disegnato, ricomposto, mischiato e livellato verso l’alto la scuola.

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3. STUDIARE MI HA SALVATO

E oggi? Il mio destino lo ha disegnato la Scuola, io che, per volere dei miei, ho fatto l’asilo, una rarità, il tempo pieno, un privilegio,  il migliore liceo statale, una scelta, a fronte di centinaia di bambini che ancora oggi in Sicilia queste opportunità non le hanno, perché non ci sono, o perché altre famiglie e altre priorità si trovano come destino e non come scelta; sputando sangue, è vero, ma sono state opportunità le mie, sputando sangue ho continuato all’università, con tre nonni e due genitori che mi han seguito passo passo in questo. Accade a tutti i bambini siciliani oggi? No.

Ma il mio destino lo han disegnato i pranzi di Natale in cui leggevo e sentivo gli abissi, le divisioni. Negli occhi di mio padre leggo sempre la sua infanzia povera e in quelli di mia madre la sua infanzia ricca, e leggo la certezza di quello che han guadagnato entrambi e in egual modo attraverso virtute e conoscenza.

Il Sud è dunque la necessità di costruzione di un ecosistema socio-culturale diverso, equo prima che uniforme. Di pari opportunità e non di impari offerta. Che istilli nel sangue necessità comuni, cultura civile e civica, non  l’eroismo, l’associazionismo, il volontariato, senza nulla togliere a quanto di importante rappresentino, ma la necessità di agire per lo Stato e con lo Stato in una legalità del quotidiano tutta ancora da costruire, comprendendone profondamente la natura di istituto della comunità, del noi, in cui siamo noi tutti. Non un noi contro un loro. Non un limone da spremere ma una casa comune da tenere in ordine e difendere con la conoscenza profonda dei processi democratici (che in troppi ancora sconoscono e che la scuola non sta trasferendo più) che si fan diritti, non il tramandarsi sempre identico di pretese avanzate egoisticamente che spesso si fanno discriminazione  senza direzione comune.

Per questo sono convinta che un insegnamento specifico in diritto, diritti, e autoimprenditorialità (le metto insieme e non è un caso), come insieme di conoscenze specifiche prima e di competenze poi, debba essere la cosa da inserire subito a Scuola, insieme all’italiano e alla matematica, aggiungo insieme all’acqua e al pane, dalla prima elementare all’ultimo anno delle superiori.

Sono saltata sulla sedia quando Renzi ha citato l’Infanzia come campo di azione previsto nel MasterPlan per risollevare il Sud e per invertire la desertificazione in atto: aiuti all’infanzia e dunque alle famiglie.Lo si faccia, la si aiuti, la si indirizzi, la si formi, fin da subito. Ma bene però, concretamente, con azioni di sistema, e non con la testa in aria delle scelte sbagliate. Non si metta in campo l’ennesimo progettificio che si disperde in mille rivoli di cose superflue.

Se anche lui sente la necessità come me di ridare senso e valore comune allo Stato avviciniamo questi bimbi a partire dai bisogni primari, dando loro un pasto al giorno, perché non tutti ce l’hanno e i livelli di povertà sono identici a quelli vissuti dal mio papà. Mi sembra che la povertà, ce lo ha raccontato Lula nel suo discorso all’Expo, sia questione da affrontarsi con azioni di governo, lo diceva anche la Pira. Al riguardo balbettiamo o ci vogliamo il viso; beh, per far brillare il sol dell’avvenire dobbiamo abbattere ogni residuo di povertà e diseguaglianza, ed è la sfida vera di questo millennio. E’ segno di modernità voler affrontare la questione. Facciamoci un giro per le mense della Caritas oltre che tra i padiglioni dell’Expo quando parliamo di cibo. Senza pessimismo, con la forza positiva del trovare le cose da fare subito.

4.INIZIAMO DAI BAMBINI

Iniziamo dai bambini. Dando loro un pasto, l’asilo e scuola tutti i giorni e tutto il giorno. A tutti e non solo ad alcuni. Ecco la vera infrastruttura e la vera azione di sistema. Destiniamo a questo tre o quattro dei cento miliardi previsti. Non disperdiamo in mille rivoli i fondi europei per il Sud destinati alla Scuola, i pon del passato sono stati acqua nebulizzata sulla sabbia e tali rischiano di essere nuovamente, se non si colmano, anche con quelle risorse, i divari strutturali di offerta. In altra sede rimane da parlare per bene e chiaramente, per bene e chiaramente, di burocrazia che ammazza piuttosto che sostenere la spesa possibile, e di selezione delle classi dirigenti che compongono quella burocrazia come i gangli delle amministrazioni locali, decisamente non all’altezza. Si devono selezionare le persone giuste, non quelle che convengano, sennò vanifichiamo tutto. Posto che, tra quelle che convengono, si possono sempre selezionare quelle giuste e non quelle sbagliate. Un’ovvietà a dirsi, meno a farsi. Le persone giuste le formi a scuola, non solo, ne valorizzi e non mortifichi le competenze, esattamente selezionando i migliori e sempre. Sennò a che serve il merito, a che serve la Scuola?

Si torna là, alla Scuola. Trasferiamo a tutti gli studenti la conoscenza del diritto e dei diritti che sono dovere, senso del dovere, non recriminazione, solo così costruiamo un senso comune dello Stato e uno Stato comune. Uno Stato fatto di Comuni e non di feudi. Per scardinare finalmente i meccanismi dell’egoismo feudale, la vera ragione per cui muore il Sud ed anche il Nord. Viene poi tutto il resto: la banda larga, le strade, le ferrovie, gli sgravi e tutto quello che volete.

Non stare con la testa in aria Mila, sii concreta. E’ quel che sto facendo, nonne.


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