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“Lo #Zuccherificio del #Molise è fallito e la mia #vita che sta morendo”
13 Ago 2015 07:55

Il 21 maggio scorso lo Zuccherificio del Molise Spa è stato dichiarato fallito; ad agosto è indetta la settima asta per la vendita dello Zuccherificio. Nel frattempo è stata annunciata una  minicampagna da effettuare ad ottobre non in fabbrica con soli dieci operai. Lasciando di fatto la fabbrica chiusa dopo ben 47 anni. Ma, cosa succede se proviamo a osservare la crisi accostando ai numeri, ai flussi di denaro, alle aste andate deserte le persone? Succede che a queste variabili si sostituiscono le storie e le vicende delle persone. Storie come quella di Pietro Marcone il quale, tra la fine degli anni ’80 e gli inizi dei ’90, è stato Sindaco di Portocannone e operaio dello stabilimento saccarifero.  Che ruolo ha svolto lo zuccherificio nella crescita sociale ed economica di Portocannone, in primis, e nel resto del Basso Molise? Cosa significava essere sindaco-operaio? “Sono profondamente desolato per le sorti dello Zuccherificio, per il suo fallimento. È una parte della mia vita che sta morendo”.

Portocannone. 1760 imprese creditrici a causa dei mancati pagamenti sono andate in difficoltà e in alcuni casi sono fallite. In pochi anni 2009-2014, sono state accumulate perdite per circa 120 milioni di euro. Una campagna saccarifera 2015 che nei fatti non ci sarà con buona pace di tutte le parole, accordi e promesse dei mesi scorsi: infatti verrà svolta una minicampagna da fare a ottobre, non in fabbrica ma attraverso un minizuccherificio che impiegherebbe solo dieci degli attuali ottanta operai in cassa integrazione, lasciando, di fatto, chiusa la fabbrica dopo ben 47 anni!

Questi sono solo alcuni dei numeri con i quali è stato decretato il fallimento dello stabilimento saccarifero di contrada Pantano Basso di Termoli, ufficialmente lo scorso 21 maggio. Un fallimento duplice quello della classe dirigente politica molisana, che nella vicenda ha rivestito il doppio ruolo di arbitro e giocatore: non è stata in grado, e non lo è ancor oggi, di parlare con la chiarezza necessaria, e nell’assumersi la responsabilità del ruolo. Ma oltre ai numeri, alle cifre e ai mercati di settore, cosa c’è? Cosa si nasconde dietro la storia di una fabbrica, come quella di contrada Pantano Basso? Che ruolo ha svolto nella società molisana lo Zuccherificio?

Fondato nel 1968 sotto forma di Società per Azioni per volontà dell’allora Ministro dell’agricoltura Giacomo Sedati, e grazie all’iniziativa dell’ente di Riforma fondiaria agraria di Puglia, Lucania e Molise; le finalità dello Zuccherificio del Molise erano quelle di consentire la coltivazione della barbabietola anche nel Molise, nell’alta Puglia e nel basso Abruzzo. Zone lontane dagli zuccherifici esistenti all’epoca. Si riteneva, inoltre, determinante per l’economia agricola diffondere una coltura da rinnovo, che salvaguardasse la fertilità dei terreni dediti, fino ad allora, alla monocoltura (grano), che desse all’agricoltore sicurezza di prezzo e di ritiro del prodotto, che valorizzasse gli imponenti impianti di irrigazione conseguenti la costruzione delle dighe di Occhitto e del Liscione e, infine, che creasse benefici riflessi occupazionali in una regione, il Molise, afflitta da una forte emigrazione e all’epoca fra le più povere d’Italia.

Le buone intenzioni, seppur con tante storture e costi/investimenti pubblici, hanno permesso all’azienda di creare un indotto rilevante sia in termini di impiego di manodopera, per lo più stagionale, che per l’intero comparto agricolo. Il punto di forza, fino al 2008, è stato l’OCM (organizzazione comune del mercato) zucchero del 1968 il quale, aveva come scopo quello di garantire un reddito equo ai produttori e, nel contempo, approvvigionare il mercato europeo. Tale regime è stato in vigore, seppur via via in forma ridotta, fino al 2008, cioè fino all’entrata in vigore della nuova riforma dell’OCM zucchero.

“Sino ad allora lavoravano in pianta stabile circa dieci famiglie, la ‘squadra’ dei facchini, composta da un’altra decina di famiglie; più una serie di piccole imprese che si occupavano di manutenzione durante il periodo di fermo dello stabilimento. Durante la produzione, invece, il gruppo di lavoratori lievitava: si aggiungevano gli avventizi (operai che lavoravano dai 4 ai sei mesi all’anno) e i stagionali. Infine, ma non per ultimi, c’erano coloro che permettevano a tutti noi di guadagnarci lo stipendio: i bieticoltori. Poi, dal 2008 la comunità europea ha riformato il mercato dello zucchero, imposto delle limitazioni e il disfacimento di un intero sistema socio-economico ha preso corpo sino ad arrivare ai giorni nostri”.

pietro marconeA parlare è Pietro Marcone storico operaio dello stabilimento saccarifero molisano, in mobilità da tre anni, e con molta probabilità , “sperando che non cambino ancora la legge “, in pensione da dicembre 2015. Ma, sopratutto, Marcone è stato sindaco di Portocannone, tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, il paese che con ogni probabilità più di tutti ha usufruito delle ricchezze prodotte dallo zuccherificio e oggi più di tutti ne subisce la crisi. “Sin dalla sua nascita, lo stabilimento  è stato un volano per l’economia di Portocannone e, sotto alcuni aspetti sociali, anche più della Fiat: ha avuto una valenza storica generazionale molto profonda”.

Perché? “Perché, non solo da un punto di vista geografico, ma anche da un punto di vista sentimentale ed emotivo, lo Zuccherificio ha rappresentato per tanti cittadini di Portocannone e non  il primo vero impiego, il primo vero lavoro. Si aspettava “la stagione” per guadagnare qualche soldo vero. Un po’ come con il primo bacio dato alla fidanzatina che non si scorda mai, la prima busta paga vera per un giovane di Portocannone coincideva con il lavoro stagionale allo zuccherificio. Impossibile da dimenticare!”. Ma non solo. “Fino ai primi anni del nuovo millennio c’era quell’idea di progresso e di speranza di un futuro migliore, la possibilità di poter far strada all’interno dello stabilimento, di poter  far parte di un pezzo di storia del nostro territorio: in tanti son passati sul piazzale, o scesi nella fossa o vicine alle caldaie.  In diversi son rimasti per altri è stato un trampolini di lancio per altre esperienze lavorative. Poi però è arrivata la riforma dell’ OCM”.

Nel 2008, appunto, la comunità europea modifica il mercato dello zucchero attraverso la riforma dell’OCM e le cose cambiano in maniera netta dentro e fuori dallo stabilimento. Proprio in quell’anno, lo storico partner della Regione Molise, la famiglia Tesi, decide di vendere le proprie azioni, pari al 37.7 per cento. Da un punto di vista strategico e imprenditoriale, il disimpegno della famiglia Tesi, avvenuto ufficialmente nel 2009, avrebbe dovuto indurre a riflettere circa le motivazioni che a tale scelta avevano portato il partner storico. L’uscita, avvenuta ufficialmente a distanza di pochi anni dall’entrata in vigore  della nuova OCM zucchero,  prefigurava uno scenario conseguente alla graduale liberalizzazione del mercato. In mancanza del sostegno al prezzo dello zucchero con la cessazione del regime delle quote si prevedeva una situazione molto simile a quella che il settore si trova ad attraversare oggi. Infatti, nel 2009 le quote del  socio privato storico dello Zuccherificio del Molise SpA venivano acquistate dalla GB Investiment del nostro conterraneo Remo Perna al prezzo di 2.5 milioni di euro. Un passaggio tutto politico che ha coinciso con l’inizio della fine dell’azienda.

“Non sono abituato a sputare nel piatto dove ho mangiato e dove mangerò anche da pensionato. Lo Zuccherificio ha rappresentato una parte lunghissima della mia vita, ben 36 anni. Come le dicevo non è stato solo lavoro ma una vera comunità dove sono nati legami forti che vanno oltre il lavoro. Ancora oggi, dopo tre anni di mobilità e prossimo alla pensione, soffro nello sentire le vicende dello stabilimento e la sua fine ingloriosa. Detto ciò qualcuno dovrà pure assumersi la paternità di questo fallimento, troppo semplice fare lo scarica barile. Perché lavorare manca”.

Appunto,  chi si assumerà le colpe di questo fallimento? Chi avrà la dignità di dichiarasi colpevole? “La nostra classe politica regionale per tanti anni ha sottovalutato, o forse non capito, il cambio di rotta delle politiche agro-alimentari imposte dalla comunità europea e dalla volontà del nostro Paese di non voler più produrre zucchero. Volendo fare un esempio dico che si è tentato di curare un cancro con l’aspirina. Dove il cancro era la non “competitività complessiva” dello stabilimento sui mercati internazionali, mentre l’aspirina è rappresentata dalle continue ricapitalizzazioni pubbliche che nei fatti non hanno salvato né lo stabilimento né il lavoro”.

Si arriva così, nel 2012, al Concordato preventivo: strumento giuridico economico volto alla salvaguardia del livello occupazionale e al salvataggio dell’azienda. Ma, anche qui, le cose non vanno per il verso giusto. Certo si evita il primo fallimento, si da vita alla campagna estiva e si crea una nuova società la NewCo. Ma, stando a guardare l’evoluzione negli anni del concordato e della consistenza effettiva del patrimonio attivo così come presentato in sede di omologa del Tribunale, non si possono non rimarcare e sottolineare come le valutazioni  alla data dell’ultima relazione dei commissari che hanno proposto il concordato, siano scomparse, ridotte o avvolte da incertezza. Ad esempio: il credito Agea, stimato in 9.044.320,00 euro potrebbe essere addirittura azzerato. Per l’affitto del ramo d’azienda è facile intuire come sia stata sovrastimata la capacità della NewCo di riuscire a realizzare un risultato operativo positivo al punto da ripagare in tre anni oltre 5 milioni di euro, tenendo conto che nei tre anni precedenti lo Zuccherificio SpA aveva accumulato perdite per circa 26 milioni di euro. Evidentemente nella redazione del piano industriale lo scenario prefigurato era eccessivamente ottimistico, forse nel tentativo di giustificare una decisione politica e non economica.

Da ultimo, tra le stime dell’attivo, quella più importante era relativa al prezzo di cessione delle quote della NewCo e dei diritti a essa trasferiti con il ramo d’azienda. Due i fattori rilevanti dei quali evidentemente non si è tenuto conto: il primo costituito dalla cessione della quota pari al 37.7 per cento, avvenuta nel 2009, dalla famiglia Tesi alla GB Investiment al prezzo di 2,5 milioni di euro. (nel 2009 le quote zucchero, parte rilevante del valore, avevano una “fruibilità” di 8 anni, nel 2013/2014 solo 3/4 anni). Il prezzo della quota pagato dalla GB Investiment, avrebbe portato a una valutazione del 100 per cento dell’azienda inferiore ai 10 milioni di euro. Inoltre, il secondo, a deprimere il valore degli assets, si aggiunga che nei tre anni successivi erano state conseguite perdite per circa 26 milioni di euro.

“Al di là di tutte le considerazioni socio-politiche, delle scelte fatte e dei tanti errori commessi; resta l’importanza che un pezzo di storia e di emancipazione sociale è stato distrutto. Ho avuto la fortuna, l’onore e l’onere di essere sindaco della mia comunità. In quegli anni il consorzio industriale  e di conseguenza lo stesso stabilimento, era gestito esclusivamente dalla classe politica di Termoli. Io, e i miei colleghi dei paesi limitrofi, ci siam impegnati per la democratizzazione dell’ente consortile ottenendo piccoli ma significativi risultati che il tempo e l’evoluzione delle cose hanno poi distorto. Ho sempre continuato a fare l’operaio anche da sindaco. Non mi sono mai posto all’interno della fabbrica come istituzione e con  l’arroganza del grado. Certo, ho messo a disposizione il mio ruolo istituzionale per il bene dell’azienda e della comunità che rappresentavo”.

“All’epoca c’erano ancora i grandi partiti, il Partito Comunista e la Democrazia Cristiana. Tangentopoli e suoi strascichi arrivarono dopo. C’era chiarezza di idee e di appartenenza a differenza di oggi in cui tutto è confuso e poco chiaro. Di conseguenza anche la società era più genuina, più solidale e compatta. C’era voglia di stare assieme, di riunirsi in spazi pubblici e di creare futuro con la consapevolezza che lo si poteva fare”.

Oggi, anche la stessa NewCo, in poco tempo e senza oneri pregressi, nonostante le campagne brevi e le ridotte produzioni ha accumulato perdite rilevanti: si stimano all’incirca 14 milioni di euro, ma la cifra è destinata a salire. Ciò a conferma di come ogni presunto tentativo di rilancio abbia prodotto guasti tali da peggiorare la pur grave situazione di partenza.

“Fino a qualche anno fa, neanche tanto tempo fa, se ti presentavi in banca per chiedere un mutuo, la busta paga dello zuccherificio era una garanzia. In tanti si son costruiti una casa e fatto una famiglia. Oggi non più. Questo è il segno del fallimento”.

La parabola imprenditoriale dello stabilimento saccarifero  segna, appunto, il fallimento definitivo della politica dell’intervento pubblico superata dalle nuove regole del commercio internazionale. Regole che, da una parte mettono da una parte in condizione di accedere a nuovi mercati e, dall’altra, consento ad altri operatori di nuovi mercati di entrare nei nostri mercati alle stesse condizioni.


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