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Solo con gli #investimenti (pubblici e privati) può tornare il #lavoro al #Sud
12 Ott 2015 05:04

Il Governatore Ignazio Visco l’ha detto chiaramente: “esiste tuttavia il rischio, particolarmente accentuato nel Mezzogiorno, che la ripresa non sia in grado di generare occupazione nella stessa misura in cui è accaduto in passato all’uscita da fasi congiunturali sfavorevoli”.

Non è proprio il caso di aspettare fiduciosi che la ripresa si consolidi e porti benefici a tutti; occorre, invece, riconoscere che siamo in una fase economica completamente diversa dalle precedenti. Perché esiste questo rischio? Per due grandi insiemi di motivi. Da un lato, le condizioni di offerta; influenzate dalle grandi trasformazioni della tecnologia e dell’economia internazionale che stanno investendo anche l’Italia.

La Relazione della Banca d’Italia ribadisce ancora una volta un punto chiave: non tutte le imprese stanno sopravvivendo e sopravviveranno a questa fase storica. Ma solo alcune di esse: quelle che hanno raggiunto dimensioni sufficienti, che innovano e crescono sui mercati internazionali. In Italia ce ne sono tante: ma nell’insieme sono insufficienti a generare tutto il lavoro che serve. Ce ne vogliono di più.

La struttura produttiva italiana deve accelerare molto il suo processo di trasformazione e rafforzamento. Dall’altro, le condizioni di domanda; influenzate dalle persistenti politiche di austerità. Si sono compressi i consumi privati, si sta ridisegnando progressivamente l’intervento pubblico. L’economia italiana resta e resterà a lungo più piccola e debole di quella del 2007. E, come mostra la Relazione, magre prospettive di mercato rallentano i processi di investimento delle imprese, in un chiaro circolo vizioso.

Perché il rischio è molto più forte al Sud? Per gli stessi motivi, letti in chiave territoriale. Sul fronte dell’offerta, le imprese meridionali sono più piccole, meno innovative e meno internazionalizzate. Non mancano, fortunatamente, tante imprese straordinarie: ma sono poche, insufficienti per le dimensioni dell’area. Sul fronte della domanda l’austerità sta penalizzando molto più intensamente il Sud: con il crollo degli investimenti pubblici, con l’aumento della tassazione locale, con la ricomposizione sotterranea della spesa: tiene la spesa sociale (prevalentemente pensioni), che è assai più ampia in termini procapite al CentroNord, ma flettono moltissimo altre spese, a cominciare da quella in istruzione, e in misura molto più intensa nel Mezzogiorno; mentre continua a mancare del tutto una politica di contrasto alla povertà (solo 300 milioni nel 2013).

Con il permanere dell’austerità sono cambiamenti che rischiano di durare indefinitamente e di intensificarsi. A fronte di questi cambiamenti, la politica economica è oggi molto debole, quasi rassegnata a sperare che aggiustando i conti pubblici tutto andrà a posto. Cosa che non accadrà mai se non si apre una fase di crescita intensa.

Sul fronte dell’offerta, così, l’Italia è assai meno dotata – rispetto agli altri paesi europei – di una forte politica industriale e dell’innovazione. Vale anche notare che negli ultimi anni i (modesti) interventi per le imprese si sono ridotti molto di più nel Mezzogiorno: fra il 2008 e il 2013 le “agevolazioni” concesse sono diminuite del 17% nel CentroNord e del 76% nel Mezzogiorno. Manca del tutto, oggi, una politica per “l’industrializzazione” del Mezzogiorno: cioè per il rafforzamento delle sue imprese lungo le linee auspicate dalla Banca d’Italia. Sul fronte della domanda, la stessa politica economica è la causa non piccola dei problemi. Sembra mancare (o se c’è, viene colpevolmente trascurata) la comprensione di come il ridisegno in corso dell’azione pubblica abbia effetti territoriali molto evidenti.

Come se ne esce? Per contrastare questi rischi, l’Italia, ed in particolare il Mezzogiorno, hanno bisogno di un fortissimo rilancio degli investimenti, privati e pubblici, in quantità e qualità molto maggiore rispetto al passato e al presente. Vanno stimolati gli investimenti che consentono alle imprese di rafforzare la propria competitività – e quindi di crescere e assumere – puntando soprattutto sull’innovazione. E vanno rilanciati gli investimenti pubblici: Visco dà un’indicazione chiara: “maggiori investimenti pubblici e privati per l’ammodernamento urbanistico, per la salvaguardia del territorio e del paesaggio, per la valorizzazione del patrimonio culturale”.

Soprattutto al Sud – aggiungiamo noi – dove maggiori sono le necessità di intervento ma al tempo stesso maggiori i possibili effetti positivi, a vantaggio dello sviluppo dell’intero paese. Sono tempi straordinari. Fiducia e ottimismo servono, ma da soli certo non bastano. Serve una forte mobilitazione intellettuale nel comprendere fino in fondo le caratteristiche dei tempi in cui viviamo; che cosa sta accadendo, specie in chiave territoriale; i grandi rischi per il futuro; ma anche le possibilità che si aprono.

E, allo stesso tempo, una forte mobilitazione politica, perché – pur nell’ambito delle possibilità di azione relativamente modeste che ci sono – si disegnino strategie per evitare il più possibile gli scenari evocati da Visco. In particolare, non aspettando quasi rassegnati che il Mezzogiorno si stacchi – nelle sue performance economiche e sociali – sempre più dall’Europa (ripetendo stancamente: tanto ci sono i fondi europei), ma provando ad investire seriamente nel suo sviluppo. Come da moltissimi anni – e in misura particolare oggi – non si fa più.


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