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La forza della vita in “Tutto può succedere”. Intervista a Giorgio Colangeli
09 Lug 2018 07:00

Tutto ricomincia con un furto in casa dei nonni della famiglia, Ettore ed Emma. Questo è solo l’inizio della nuova ed entusiasmante terza stagione di “Tutto può succedere”, la fiction targata Rai1 che continua ad appassionare il pubblico di tutte le età. A interpretare  il capostipite della famiglia è ancora una vota un bravissimo Giorgio Colangeli, attore che riesce a far arrivare brividi di emozioni per ogni sua interpretazione. Ettore Ferraro è il padre di quattro figli, nonno e marito; è  un uomo che ha avuto tutto quello che desiderava. Ha lottato senza rinunciare a niente, continua a superare gli ostacoli che la vita gli pone davanti perché di fatto nel corso della nostra esistenza “Tutto può succedere”; l’importante è non perdere il sorriso, lo stesso che Giorgio Colangeli ci lascia dopo aver toccato le corde dell’anima con le sue fatiche recitative.

E’ da poco iniziata la terza stagione di “Tutto può succedere”. Posso chiederle come mai ha accettato di far parte di questa serie tv?

Beh innanzitutto per la qualità di “Parenthood”, il format americano, e per il cast; quando me l’hanno proposto erano già confermati molti nomi come Pietro Sermonti e Alessandro Tiberi. La squadra artistica era composta sia da seri professionisti di questo difficile mestiere  e sia  da chi aveva ancora masticato poca recitazione ma quello a cui aveva partecipato l’aveva fatto bene. Normalmente si è  soliti pensare che la fiction sia mediocre rispetto al cinema e al teatro, ma non è così e “Tutto può succedere” ne è un esempio lampante.

Nella nota fiction interpreta Ettore Ferraro. Ci racconta un po’ di lui? Cosa gli piace di lui?

E’ un uomo, un marito, un padre e un nonno un po’ all’antica. Cerca sempre di risolvere le situazioni di petto, senza pensarci più di tanto; è una persona molto muscolare e molto diretta. Il suo essere così concreto e sbrigativo lo porta molto spesso a pensare di aver capito sin da subito la situazione ma molto spesso non è così. Anche se non sembra, è un profondo osservatore di ciò che gli sta intorno.

In “Tutto può succedere” affrontate tante tematiche tra cui la sindrome di Asperger. Come si è rapportato a questa forma di autismo?

Inizialmente non ne sapevo nulla, ma quando mi sono un po’ informato è stato uno dei principali motivi che mi hanno portato a dire sì a questo progetto televisivo.

La famiglia per lei cosa rappresenta?

Provengo da una famiglia molto unita; i miei genitori sono rimasti insieme superando qualsiasi tipo di avversità regalandoci un nucleo familiare come vero punto di riferimento. Con il tempo le cose sono cambiate; io per esempio ho un matrimonio alle spalle e un figlio. Ritengo che la famiglia sia importante nella vita di ciascuno di noi, il faro che ci guida.

Secondo lei, nella vita davvero “Tutto può succedere”?

Assolutamente sì. Sono dell’idea che tutto quello che mi è capitato fino ad ora doveva succedere.

Chi è Giorgio Colangeli?

E’ un uomo molto maturo che ha cercato di mantenere la sua giovinezza, non tanto nei lineamenti fisici, quanto invece nella mentalità e nello stare al passo con i tempi. E’ una persona contenta e soddisfatta di quello che è riuscito a costruire e a  diventare. E’ un curioso della vita e del proprio mestiere.

Lei è laureato in fisica nucleare, com’è avvenuto il passaggio alla recitazione?

In maniera del tutto casuale. Sono sempre stato uno spettatore molto appassionato sia di cinema sia di teatro e mai avrei pensato di fare l’attore. Nei mesi sabbatici che avevo tra il conseguimento della laurea e la partenza per il servizio militare, un amico di mio fratello mi ha invitato a fare parte di un gruppo di dilettanti che volevano mettere su uno spettacolo; mi sono divertito talmente tanto nella preparazione che nel giro di qualche tempo ho abbandonato l’insegnamento per mettere anima e corpo nel palcoscenico.

Un ruolo molto interessante è quello che ha ricoperto in “Pasolini, un delitto italiano” con  regia di Marco Tullio Giordana. Lei come definirebbe Pasolini?

E’ un intellettuale molto complesso da definire, secondo me. Era ed è sempre stato molto ammirato in vari ambiti, ma anche molto discusso soprattutto per la sua omosessualità. E’ stato molto lungimirante sulla società in cui ci troviamo a vivere, molte delle verità scomode che aveva previsto si sono verificate.

Ne “L’Aria salata” di Angelini ha interpretato Luigi Sparti, un ruolo molto significativo perché interpreta un essere umano a pieno titolo. E’ d’accordo?

Assolutamente sì. Sono un detenuto che ritrova il figlio, un personaggio che è facile definire cattivo, che fa di tutto per non deludere questa aspettativa, ma che è anche un essere umano completo, un padre che si vergogna per non essere stato vicino al figlio. Essendo umani, tutto è possibile.

Ha fatto parte anche  di Rino Gaetano – Ma il cielo è sempre più blu .  Lei che tipo di rapporto ha con la musica? Può essere davvero salvifica? E con Rino Gaetano?

Prima di girare  il film in due puntate per la Rai, sapevo chi fosse Gaetano ma devo ammettere che non l’avevo mai seguito in vita molto. Posso dire che per prepararmi per il mio ruolo, ho cominciato ad ascoltarlo e me ne sono innamorato. Ho sempre amato la musica, in tutte le sue forme, con un interesse particolare per l’opera lirica; credo che l’arte delle note sia un linguaggio universale che riesce a emozionare in ogni singolo attimo di vita.

Un altro ruolo interessante è stato quello di “La nostra vita” con Elio Germano. Com’è e come dovrebbe essere la vita, secondo lei?

Penso che la vita dovrebbe essere accolta, sempre e comunque, nel bene e nel male, con i suoi pro e i suoi contro. Ogni esperienza altro non fa che formarci e delineare quello che di fatto è il nostro destino.

E’ stato anche tra i protagonisti dell’amatissima serie tv dei “Braccialetti Rossi” in cui vestiva i panni di Nicola che segna molto la vita di Leo. Oggi quanto è importante ricordare?

Interpreto un anziano paziente ricoverato nella casa di riposo dell’ospedale che viene considerato da Leo il suo secondo padre. E’ proprio lui che dà al futuro leader l’idea che permetterà la formazione dei Braccialetti Rossi. Ritengo sia fondamentale ricordare, per noi stessi e per chi ci sta intorno. Il ricordo insegna a vivere perché dal passato si costruisce la propria identità.  Penso che sia fondamentale anche dimenticare soprattutto le cose negative che hanno arrecato troppa sofferenza.

Non solo cinema e tv ma anche teatro. E’ una medicina per l’anima per lei?

Sicuramente sì, per me lo è stato. Tutte le volte che sono sul palcoscenico, mi sento bene. Il teatro mi ha sempre curato e spero che curi anche gli altri sia quando si versa una lacrima sia quando si ride.

I suoi prossimi progetti?

Sto provando un nuovo allestimento di Aspettando Godot.


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