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Manuela Ventura in “Rocco Chinnici”. Stasera su Rai1
23 Gen 2018 07:00

Non è soltanto una sorta di omaggi a chi ha dato la vita per estirpare il cancro qual è la mafia, ma anche un  vero e proprio esempio che fa comprendere quanto sia importante parlarne. Questa sera in prima serata su Rai1 vedremo “Rocco Chinnici. E’ così lieve il tuo bacio sulla fronte” di Michele Soavi., tratto dal libro della figlia Caterina. A vestire i panni della moglie sarà la bravissima Manuela Ventura che gentilmente ci ha concesso quest’intervista.

Ti vedremo in “Rocco Chinnici. E’ così lieve il tuo bacio sulla fronte”. Perché hai deciso di far parte di questo progetto?

Quando ho saputo che si sarebbe realizzato questo progetto, ho chiesto subito se ci fosse la possibilità di partecipare ai provini. Sapevo che la regia sarebbe stata di Michele Soavi, regista con il quale avevo già lavorato per “Questo è il mio paese”. Quando ho cominciato a leggere le scene da preparare, ho intuito quanto fosse delicato e al tempo stesso forte questo racconto, che non vuole essere un racconto di mafia, ma una storia di rapporti, emozioni, di una vita normale e per questo ancora più speciale. La storia di un grande uomo, un uomo giusto, il suo essere padre, la sua famiglia, l’amore per il suo lavoro e l’attaccamento alla vita anche nelle sua manifestazioni più semplici, coltivare le rose, andare al teatro, cucinare e poi il suo instancabile impegno di uomo delle istituzioni rigoroso e “creativo” al tempo stesso.

Ci spiegheresti meglio il titolo?

Il film è tratto dal libro scritto da Caterina Chinnici, la figlia maggiore del magistrato, il cui titolo è appunto “E’ così lieve il tuo bacio sulla fronte”. Ecco come inizia il primo capitolo “Mi diede un bacio sulla fronte-me lo dava anche da sposata-poi sorrise, si girò e uscì dal portone”. Era questo il tenerissimo rituale che si scambiavano padre e figlia ogni giorno.

Interpreti la moglie del magistrato. Ci racconteresti un po’ di lei?

Tina Chinnici (all’anagrafe Agata Passalacqua prima di sposare il magistrato) è la coraggiosa donna rimasta fino all’ultimo giorno al fianco del giudice ispiratore del pool antimafia; è stata una donna, madre e moglie che ha mostrato con forza di possedere quella dote speciale di mettere insieme determinazione e dolcezza. E’ stata una donna che ha scelto di lavorare e di insegnare e al contempo ha protetto e curato i suoi valori più intimi, la famiglia, l’amore, la fiducia, l’unione. Ascoltava, condivideva con il marito gioie e preoccupazioni, avevano in comune un progetto di vita, trasmesso ai figli e non solo. Stare uniti, capirsi, accettare anche nei momenti più duri, anche quando ha chiesto accoratamente al marito di fare altre scelte, in realtà Tina sapeva quale sarebbe stata la risposta e sia lei che i figli l’hanno sostenuto, perché era una scelta di libertà. E’ un grande esempio di umanità, anche dopo la tragica morte del marito, Tina ha cercato di tenere unita la famiglia, di ritrovare per tutti la serenità, l’equilibrio.

Come ti sei preparata per questo ruolo?

Ho letto le notizie dell’epoca, le interviste e ho guardato le fotografie. Sicuramente è stato importante il confronto con il regista Michele Soavi, la sua guida è stata preziosa. Era importante dare vita a questo aspetto più intimo, privato della vita di questo grande uomo e della sua famiglia. Avere la possibilità di leggere il libro di Caterina Chinnici e di confrontarmi con la testimonianza diretta dei figli è stato fondamentale, anche per cercare il più possibile di rispettare il loro ricordo e la memoria della loro madre.

Chi è Rocco Chinnici?

Era un uomo prima di tutto, un padre presente e attento, nonostante gli enormi impegni professionali, è stato un marito pieno di affetto e di cura, un sostegno solido. E’ stato un grande magistrato, il padre del pool antimafia, colui che con grande intuito e intelligenza aveva capito quanto fosse necessario creare una squadra di lavoro che sapesse collaborare, colleghi dei quali fidarsi, perché’ sapeva quanto fosse pericoloso l’isolamento. Non si è mai risparmiato, era un uomo che si svegliava alle quattro del mattino e cominciava a lavorare; ha creduto nel suo ruolo svolgendo con estrema sensibilità, era un comunicatore straordinario proprio perché riusciva ad esprimere concetti di grande importanza con la massima semplicità. Credeva fermamente nel valore della legalità e della giustizia, della libertà, sapendo esattamente i rischi ai quali andava incontro. Non si riteneva eroico, era determinato nel mostrare che si può fare, ci si può impegnare nel combattere a favore della giustizia e si può vincere. E’ stato un uomo di grande impegno civile, ha lasciato messaggi e esempi che oggi più che mai vanno riscoperti, soprattutto per l’attenzione che ha avuto nei confronti dei giovani, andando spesso a parlare nelle scuole.

Affianchi un grandissimo attore quale Sergio Castellitto. Com’è stato lavorare con lui?

E’ stata un’esperienza professionale incredibile. L’idea di essere al fianco di un attore come lui mi creava non pochi timori, non è semplice trovare la sintonia, e in questo caso era ancora più necessario dovendo essere marito e moglie. Ma i timori sono spariti già dai primi momenti, il suo modo di lavorare, la sua estrema attenzione, la sua generosità anche nel discutere una scena e darmi suggerimenti. In ogni momento in cui potevo, cercavo di osservarlo e da subito ho visto un progetto chiaro e profondo di come stesse svolgendo il suo lavoro e di quale fosse la strada.

Chinnici diceva agli studenti  che il pericolo maggiore è la rassegnazione. Sei d’accordo?

Verissimo. E’ quello che tutti, giovani e adulti, dovremmo evitare, pur essendo faticoso a volte, niente dovrebbe farci recedere dal nostro diritto-dovere di essere presenti, partecipare, capire. Lo disse benissimo Chinnici quando ricordò che il rimedio migliore è quello della mobilitazione delle coscienze. “Solo quando saremo sensibilizzati, quando ci sentiremo solidali, quando sentiremo il bisogno imperioso di essere cittadini: solo così si potrà dare un contributo per la lotta contro la mafia”.

Sei catanese. Cos’è per te questa città?

Catania è la mia origine, è lì che sono nata ed è lì che vivo ormai. E’ il luogo degli affetti e dei ricordi, è dove ho cominciato a osservare, a guardare. E’ la città della quale parlo la lingua, il dialetto catanese, è dove da un lato posso guardare il mare e dall’altro la montagna. Le voglio bene e per questo vorrei che ce ne occupassimo meglio noi catanesi; non è facile accettarne alcune contraddizioni, perché sembra sprecata, a volte, per le sue mille potenzialità, per la sua bellezza.

In che modo il cinema racconta di mafia?

Gradualmente c’è stata una sempre maggiore presa di coscienza. Si è sentito e si sente il bisogno di raccontarla. Tutto sta a capire quanta saturazione ci sia, quale sia la chiave per non creare ambiguità, per non favorire aspetti seduttivi, per non creare eroi e vittime, perché nella costruzione dell’immaginario di ciascuno di noi cinema e televisione giocano un ruolo importante. Non bisogna rischiare di far passare messaggi per cui tutto è mafia, tutto è corrotto, perché non è così. E’ un aspetto infame, misero della vita, nasce e si alimenta per la tendenza a perseguire il crimine, ad accumulare danaro e potere , per speculare e distruggere il bene comune, per tutelare i propri bassi e miserevoli interessi, si alimenta a causa di codici culturali meschini, ma c’è altro di molto più importante, alto, duraturo, bello nelle nostre vite, e non bisognerebbe avere paura di quelle che a volte paiono delle utopie , cultura, gentilezza, libertà, poesia, rispetto delle regole, solidarietà e altro ancora, è questo ciò da cui dobbiamo farci sedurre, ciò che bisognerebbe perseguire.

Cosa ti piacerebbe arrivasse al grande pubblico del film?

Sarebbe importante che di questo racconto rimanesse questo sguardo così intimo che ne ha voluto dare la figlia, che si cogliesse la profonda umanità che c’è dentro queste vite, gli aspetti più normali che sono diventati i punti di forza di quest’uomo, tutto quello che è riuscito a fare nonostante le difficoltà, il suo impegno sociale, la sua generosità e fede granitica nel lavoro che aveva scelto, la responsabilità di svolgerlo a nome di tutti noi. E’ questo che ci dovrebbe rimanere impresso, non solo l’epilogo tragico o quel boato assordante, dovremmo ricordare il clamore dell’emozione e il grande amore per la vita; ognuno di noi potrebbe dare il proprio contributo.


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