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Quando il teatro rapisce. Intervista a Paolo Mazzarelli
11 Apr 2018 07:00

Per molti attori, il teatro è lo step obbligatorio, per altri è una semplice opzione, per altri ancora è il fulcro attorno al quale ruota l’intera carriera e infine per altri il palcoscenico è un trasporto di emozioni che va ad investire un pubblico assetato di bellezza. Di questo e non solo, abbiamo parlato con Paolo Mazzarelli, un interprete davvero straordinario.

Paolo, stai lavorando un nuovo progetto triennale che metterà in scena una serie shakespeariana. Ci racconti come è nato questo progetto?

Un giorno Lino Musella, con cui lavoro da dieci anni, leggendo e studiando l’opera completa di Shakespeare, si è reso conto di come il grande genio inglese avesse scritto, più di 400 anni fa, quella che a tutti gli effetti si può definire una serie. Otto testi, otto drammi storici che, iniziando con Riccardo II e finendo con Riccardo III ripercorrono, circa un secolo della storia inglese. Lino ha proposto a me e ad Andrea Baracco di provare una follia: mettere in scena la serie intera. Da noi tre è partito il progetto, che poi grazie a Teatro Franco Parenti, La Pirandelliana e Marche Teatro è diventato realtà. A maggio iniziamo le prove, per ora io e Lino stiamo lavorando alla riduzione, traduzione e adattamento dei testi originali.

Quando andrai in scena?

Ci saranno delle importanti aperture al pubblico già in estate, ma il debutto ufficiale dei primi due episodi -Riccardo II ed Enrico IV parte prima- sarà il 2 ottobre 2018 in apertura di stagione del Franco Parenti, a Milano.

Di chi vestirai i panni?

Avrò l’onore e l’onere di interpretare il protagonista del testo di apertura, cioè Riccardo II. Un personaggio straordinario, un re inadeguato e vizioso, capace però di raggiungere, alla fine della sua vita, vette di saggezza, di poesia e di visione mistica degne del miglior Amleto.

Cosa rappresenta per te William Shakespeare?

Il più grande autore teatrale mai vissuto, senza ombra di dubbio, e poi  un pozzo infinito in cui cercare conforto, senso, bellezza.

Perché secondo te, a distanza di secoli, Shakespeare continua ad essere uno degli autori più rappresentati in teatro?

Semplicemente Shakespeare ha scritto di qualunque cosa e l’ha fatto meglio di chiunque altro.

Per un attore il teatro è fondamentale? Perché?

Perché il mestiere di attore è un mestiere che è nato quando è nato il teatro. Televisione e cinema sono arrivati solo in tempi relativamente recenti. A teatro si riscopre il senso profondo dell’essere attori, senso che continua ad essere quello di raccontare delle storie, tendenzialmente su un palcoscenico, davanti ad un pubblico in carne ed ossa che è lì per farsele raccontare.

“Siamo fatti della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita”. Oggi possiamo avere ancora il diritto di sognare?

Da questa frase emerge la consapevolezza profonda di cosa sia vivere, la presa d’atto di cosa voglia dire esserci, essere vivi e dover morire, qui e ora, in un qualche punto dello spazio -tempo infinito. Sognare non è un diritto, sognare non è altro che vivere.

Cosa speri arrivi al pubblico dello spettacolo teatrale?

In alcuni casi si spera di produrre divertimento, in altri emozione, in altri turbamento, in altri ancora un qualche spostamento del pensiero o del punto di vista. Lavorando su Shakespeare, bisogna puntare a tutte queste cose insieme, perché nel suo teatro c’è tutto questo. Ma prima che occuparsi del pubblico, occorre essere certi che un genio come Shakespeare “arrivi” a noi che lo studiamo, lo mettiamo in scena, lo recitiamo. Occorre capirlo, aprirsi a lui e alla sua grandezza, ascoltarlo a fondo, sentirlo.

 


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