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Roberto Zibetti al cinema con “Addio fottuti mostri verdi”
10 Nov 2017 07:33

Attore italiano nato nel New Jersey, Roberto Zibetti è tra i protagonisti del film dei “The Jackall”, presentato al Festival di Roma, “Addio fottuti musi verdi”. Lui veste i panni di un alieno esistenziale. Il film è da ieri in tutte le sale. Roberto ha debuttato a 19 anni a teatro con Luca Ronconi, lavorando poi anche nel cinema. Molti i registi che lo hanno diretto: da Klaus Maria Brandauer a Bernardo Bertolucci, fino a Giacomo Battiato che gli darà il suo primo ruolo da protagonista.

Chi è Roberto Zibetti oggi?

Un attore felice di fare il suo mestiere: questo oggi finalmente si sente di dirlo, dopo una formazione durata più di vent’anni. Quando ha iniziato la carriera all’età di 19 anni, aveva sentito dire più volte che questo sarebbe stato più o meno il tempo necessario a plasmare un vero artigianato consapevole della recitazione. All’epoca gli sembrava un’assurdità ma alla fine è andata proprio così: deve all’ultimo spettacolo diretto da Luca Ronconi e al personaggio di Herbert Lehman una raggiunta serenità quando è sul palco e davanti alla macchina. Ora recitare è come suonare la parte in un’orchestra, una sensazione avvolgente, spesso divertente ed è molto appagante. Inoltre gli piace scrivere, dirigere  film e spettacoli, fare ricerca usando la metodologia teatrale. se il tema vi incuriosisce buttate un occhio qui, www.lagiostraarmonica.it, si tratta di una piattaforma di progettazione partecipata in chiave sostenibile e creativa. Il suo “core business”, come direbbero gli yankees, è la recitazione, senza dubbio alcuno. Gli piacciono anche le piante e gli animali. Suona  il violino e va matto per la canzone classica napoletana.

Sei nato negli Stati Uniti d’America ma sei cresciuto a Torino. Cosa rappresentano questi due Paesi?

Rappresentano esattamente i due poli complementari della mia personalità. Ho un’anima tremendamente italiana e mediterranea, più vado a Sud e più mi sento a casa. Non ho mai capito bene perché, visto che provengo da una famiglia per metà valdostana e per metà piemontese; credo abbia a che fare con il concetto di poesia. Klaus Michael Grüber affermava che nessun concetto poetico ha davvero senso se non riesci a tradurlo usando un immaginario fatto di Discobolo, Maradona, la pizza, spaghetti e varie icone religiose tipiche del sud Italia. Sono d’accordo con lui, l’indole meridionale è morbida e accogliente come nessun’altra. Per quanto riguarda l’America, ci ho messo anni a fare pace con un certo razzismo e una certa ossessione per il denaro tipici di quella società che da giovane mi disturbavano non poco, perché mi sembrava mi impedissero di sbagliare. Come mi disse un giorno il produttore Jeremy Thomas: “Se fai qualcosa in USA, lo fai nel mondo” ed è proprio così. E’ proprio così, sono profondamente grato a Torino per avermi dato una cultura con la C maiuscola, a Roma per essere la mia dolce casa, a Napoli per essere Napoli, a Parigi per essere Parigi, ma adoro anche il mare davanti a Malibu e il deserto del Nevada.

Com’è nata la passione per la recitazione?

Avevo un bravissimo insegnante di musica alle medie a Torino che era appassionato di mimo, teatro e Commedia dell’Arte e ci fece fare un laboratorio: al saggio finale dovevo fare Pinocchio e dovevo uscire da uno scatolone e poi improvvisare; così feci. Quelle brevi gocce di gran divertimento e di approvazione generale, in mezzo ai miei professori e ai miei compagni che ridevano nel pubblico, mi resero dipendente da quelle sensazioni. Al liceo mi piacevano praticamente solo le materie letterarie, insomma erano le uniche a cui mi dedicavo con passione, e nel pomeriggio stages di tutti i tipi: dal mimo alla clownerie allo psicodramma e le lezioni di recitazione con il mio primo maestro, Ernesto Cortese, un regista radiofonico della RAI. Il dado era tratto e la strada sarebbe stata tutt’altro che facile. E’ una vocazione spesso dolorosa, la nostra.

Sei protagonista del nuovo film “Addio fottuti musi verdi”. Ci racconteresti meglio di cosa si tratta?

Un giovane grafico napoletano, che non trova lavoro a Napoli, viene rapito per caso da una società aliena fondata su una praticità compulsiva, ma priva di creatività. Ecco dunque che in questo contesto il nostro grafico viene considerato come un super valore aggiunto e gli viene offerto un contratto. Tutto bene, finché non si scopre che la terra non paga a Dio il debito per lo sfruttamento dell’energia solare. La realtà è che si tratta di un film molto sofisticato e intelligente, ma nel contempo di un film di genere rivolto a tutti, un piccolo gioiello che parla il linguaggio beffardo, assurdo, tremendamente auto-ironico e spesso spiazzante della rete, ma riesce miracolosamente a farlo con una compiutezza tecnica e drammaturgia degna della miglior tradizione comica e surreale nostrana e anglo-sassone. 110 e lode ai The JackaL per quanto mi riguarda e a Kattleya, la produzione e 01, la distribuzione, per aver creduto nei potenziali di questo progetto. E anche a Gigi D’Alessio, la nostra guest-star d’eccezione, per essersi prestato al gioco con grande ironia e generosità.

Interpreti il capo dei marziani. Come ti sei preparato per questo ruolo?

Imparando le parole una ad una per poi lasciare che quanto scritto dagli autori disegni da sé un personaggio  per la storia; le emozioni e le immagini della fantasia faranno il resto. Dal punto di vista tecnico ho preso come riferimento principale gli emoticon, quei segni e quelle espressioni stereotipate che hanno invaso il nostro linguaggio quotidiano. Ho condito il tutto con tanti suoni, ispirati ai robot e ai nostri gesti automatici di tutti i giorni. La gran capacità di selezione di Francesco Ebbasta (il regista) è stata indispensabile per trovare il giusto equilibrio, e anche la recitazione, sempre perfetta e precisissima, fino all’ultima sillaba, dei miei colleghi.

Tu credi nell’esistenza di una vita fuori dal nostro pianeta?

Mi sembrerebbe davvero troppo spocchioso da parte dell’uomo pensare di essere realmente l’unico che abbia il privilegio di assemblare gli elementi naturali in una forma di vita intelligente e pensante, vista soprattutto la poca cura che sembra mettere nell’indagarne i potenziali in una forma che sia autenticamente amorevole e costruttiva. L’universo è sterminato e multi-dimensionale, solo qualche mese fa hanno scoperto sette pianeti simili alla terra.

Cosa vorresti arrivasse al pubblico di questo film?

Lo sviluppo esponenziale e velocissimo delle nuove tecnologie sta paradossalmente portando a un graduale de-potenziamento di ciascuno di noi. Sta trasformando e plasmando non solo l’identità, ma anche l’inconscio collettivo: questo significa che ciascuno di noi prende le decisioni in base agli stimoli che riceve in rete. Verrà un tempo in cui dovremo costruirci per forza una nuova identità e dovremo farlo con coerenza, se non vogliamo farci troppo male. Ecco, per me il film dei JackaL è l’esempio esatto di come bisognerà porsi: auto-ironici, beffardi, intelligenti senza voler parere tali, anarchici nel senso più poetico e affettuoso del termine. Il tutto stando tra amici e facendosi  risate.

Quest’intervista verrà pubblicata in Resto al Sud. Qual è il tuo rapporto con la parola Sud?

Il Sud rappresenta per me la morbidezza della musica e la forza intuitiva dell’emozione. Amo profondamente il Sud. Mi commuove e mi scalda. Napoli è oggi di gran lunga la città più vitale d’Italia da un punto di vista creativo. La Puglia una delle mete turistiche più gettonate del pianeta. La Sicilia è stracolma di arte e storia. Spero e credo che nel prossimo futuro aumenteranno i modelli virtuosi in grado di valorizzare il meglio dei potenziali meridionali. Credo onestamente che il Sud ci stupirà in quest’epoca complicata.

I tuoi prossimi progetti?

Sono in uscita “Rocco Schiavone 2”, “Non Uccidere”, “Immaturi: la serie”. Poi porterò in giro due monologhi, “Gerusalemme Unplugged, una soap metafisica” tratto dalla Gerusalemme Liberata che spero di fare presto anche a Napoli e a Sorrento, e “Desert Visions, un fantasma lungo il viaggio”, un giallo di ambiente americano scritto dallo scrittore anglo-armeno Baret Magarian, anche questo una piccola chicca, molto emozionante. Poi ci sono i progetti cinematografici in via di definizione, di cui è presto per parlare. ( Foto: Roberto Zibetti di Tori Thorimbert )


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