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La dietista che cura i disturbi alimentari con la grammatica dell’amore
18 Giu 2013 16:40

Non è una dietista come le altre. Tra i suoi strumenti di lavoro non ci sono bilance, né ferree cure dimagranti. Usa una particolare “grammatica dell’amore e del rispetto”, che mette in pratica con le donne che si rivolgono a lei per problemi di cibo.

Sonia Etere, è nata e vive a L’Aquila. Dal 1986 collabora con il consultorio AIED dell’Aquila, aiutando le donne “che usano il cibo come arma letale contro se stesse”, come recita anche il sottotitolo del suo primo libro “Nella cucina di Sofia ci siamo anche noi”.

In poche pagine Sonia racconta la storia di tre donne, dei loro disagi e di come sono riuscite a vincere la loro personale battaglia. “Le donne che vengono da me, spesso non hanno altri strumenti per far sentire la loro voce, se non il cibo. Apparentemente mi chiedono una dieta. In realtà vogliono raccontarsi, parlare dei loro dolori, delle fatiche quotidiane, delle piccole o grandi difficoltà, che sfogano con enormi abbuffate o digiuni forzati. Vogliono essere ascoltate e l’ascolto, l’accoglienza, sono la parte principale del mio lavoro”.

Così Sonia si scopre counselor, per caso, e decide di mettere a frutto e far diventare una professione questa sua innata attitudine. “La scelta di diventare counselor è nata per caso. Le psicologhe del consultorio continuavano a ripetermi -Ma tu sei un counselor- Ma io non capivo neanche cosa significasse. Mi sono incuriosita e ho deciso di intraprendere anche questo percorso, culminato con un master. Il counselor basa tutto sull’accoglienza, sull’empatia, condividendo le sue emozioni con quelle dell’altro. Io lo faccio da sempre”.

In effetti Sonia entra subito in contatto diretto con le persone. Senza schermi, senza filtri. E’ come se le mancasse uno strato di epidermide. Estremamente più sensibile, avverte subito le sensazioni e le emozioni di chi gli sta davanti.

La mia storia personale è fatta di dolori superati, di dolori trasformati in forza. È questa la mia marcia in più”. Nel libro Sonia parla anche di se’. “Dalla nascita non ho avuto la possibilità di camminare bene, dritta, veloce e così ho dovuto imparare a camminare più lentamente ed osservare le piccole cose che quando vai di fretta non vedi”. Nel suo lungo osservare i giochi degli altri, da bambina, ha imparato ad assaporare le piccole gioie della vita e a dar valore ai ritmi lenti, contro la fretta, l’indifferenza e l’affanno del mondo moderno.

Il dolore quando lo provi, lo riconosci. Io sento il dolore dell’altro, perché al di là della bilancia, ascolto il corpo e il cuore di chi è seduto davanti a me. Il libro parla soprattutto di questo. Storie vere di donne, che definirei eroiche, perché hanno combattuto contro le loro paure. Hanno osato, si sono messe in gioco e hanno vinto. Loro stesse credevano di non farcela. Chiudere o aprire il frigorifero e avere un rapporto sereno con quello che c’è dentro, e con quello che c’è fuori, non è semplice. Nei nostri incontri, la parola dieta è bandita. Leggiamo libri, poesie, o ascoltiamo musica. Ciascuna ritrova se stessa, con i suoi desideri, le passioni, le proprie identità,. Riscoprono la gioia di sentirsi giovani dentro”.

Non è un caso, allora, se le presentazioni del libro di Sonia- ne fa tantissime e tutte sempre affollate, il libro è giunto alla quarta edizione, ha ricevuto numerosi premi nazionali, è diventato un best sellers delle edizioni Tracce ed è stato di recente tradotto in inglese per approdare sul mercato d’oltreoceano- si trasformano in magici incontri, dove le favole e i personaggi di Walt Disney diventano protagonisti.

Parlo spesso di Marry Poppins, perché è un personaggio positivo, che ci porta a riscoprire noi stessi. Ci permette di credere che possiamo osare, che ogni età è quella giusta per avere dei desideri. Chi smette di averli, muore dentro. È una morte culturale, cerebrale. Picasso diceva “Ci vuole tempo per diventare giovani”. Cioè per riscoprire e ritrovare quel giovane che è in ciascuno di noi, ma spesso ce ne dimentichiamo”.

“I giovani per la nostra città sono una risorsa. Una spinta vitale- prosegue- Il disagio a L’Aquila in questi quattro anni è aumentato, come sono cresciuti i disturbi alimentari. Molte persone vivono tuttora con il senso di colpa di essere sopravvissute. Ma io sono abituata a vedere il lato positivo. La cosa che ripeto spesso a chi porta ancora con sè questo fardello è che il terremoto è una ferita che ci dobbiamo portare addosso, con dignità. Le cicatrici, prima o poi, si rimarginano.

I giovani sono un ottimo coagulante. Sono fantastici, hanno la forza di incontrasi ancora in centro, per i giovedì universitari e fanno rivivere questa città fantasma. La vita va avanti ed è grazie a loro, se molti genitori sono tornati e rimangono”.

Perché restare qui, le chiedo “Restare a L’Aquila è come restare a fianco ad una madre malata. Una madre ti ha dato tante cose, per come ha potuto, nel bene e nel male. Nessuno è perfetto, madri e figli fanno degli errori, ma quando una persona ha bisogno di te, devi esserci”.

Il prossimo libro?

“Si chiamerà “la paura ruba i pensieri”? Sei la prima a cui lo dico. Ci saranno ancora storie, di persone che vengono al consultorio, ma anche di persone che ho incontrato altrove e che mi hanno insegnato molto. La paura ruba i pensieri, solo se glielo facciamo fare”.


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