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L’austerity fa male all’Europa

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Ormai da molti anni si è acceso in Europa un importante dibattito fra i difensori del rigore e fra chi, come me, ritiene che senza la giusta dose di flessibilità e senza la dovuta attenzione alla dimensione sociale, le politiche di austerity rischino di diventare non solo inutili, ma controproducenti.

I Socialisti Europei hanno più volte chiesto un cambiamento di questo approccio economicista, sostenendo una visione più solidale dell’appartenenza europea ed al contempo più funzionale agli obbiettivi strategici della convergenza: è evidente che gli squilibri all’interno dei paesi dell’eurozona minano l’idea stessa di un’economia unica e rappresentano un serio ostacolo alla realizzazione del grande progetto europeo.

Per questo ho presentato recentemente un’interrogazione parlamentare che chiedeva di rafforzare i parametri di valutazione sociali nell’ambito del coordinamento delle politiche economiche all’interno del semestre europeo: parametri come povertà, ineguaglianza, reddito familiare, disoccupazione giovanile, di cui finora non si è tenuto adeguatamente conto e che invece potrebbero avere un valore strategico per la coesione e la crescita dei singoli paesi dell’Unione.

L’idea era in sostanza che la Commissione Europea, nel valutare la situazione economica degli stati membri e nell’indicare loro la strada da seguire, tenesse conto della reale situazione della gente più che dei meri parametri macroeconomici.

Nella mia interrogazione, datata 1 agosto, sottolineavo in particolare l’importanza di tener conto della situazione del lavoro all’interno degli stati membri, nonché della strettissima correlazione tra il livello di disoccupazione, particolarmente di quella giovanile, e la qualità della formazione e training all’interno di un dato territorio.

Nella risposta pervenutami pochi giorni fa da parte del neo responsabile europeo per il Lavoro, crescita e competitività Katainen ho appreso con grande disappunto che l’utilizzo dei nuovi strumenti nel semestre 2014 avrà invece “il solo scopo di permettere una maggiore comprensione degli sviluppi sociali” e che quindi essi non modificano “i principali obiettivi della procedura per gli squilibri macroeconomici”.

Come a dire che indicatori come povertà, ineguaglianza, tasso d’impiego e disoccupazione non sono così importanti e che il vero obbiettivo dell’Europa sia imporre il controllo su parametri macroeconomici come il deficit e la spesa pubblica.

Non credo sia questa la direzione giusta per un’Europa che vuole uscire da una drammatica crisi economica.

Perciò non smetterò di sollecitare sin dalla prossima audizione del vice presidente Katainen prevista nel Parlamento Europeo ai primi di ottobre, un rapido cambio di visione nell’interesse dell’Europa e soprattutto del futuro dei suoi abitanti.

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Published by
Renato Soru