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L’identità e lo strano caso di Marcella Marmo o di Elena Ferrante: dallo studio della camorra all’amore molesto

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Certo deve essere sensazione inusuale sentirsi attribuire all’improvviso un’identità di scrittrice di romanzi. Marcella Marmo alias Elena Ferrante. La docente di storia all’Università di Napoli, conosciuta da tutti gli studiosi di camorra per le sue ricerche, identificata con la scrittrice-fantasma autrice di tanti romanzi diventati soggetti di film.

Un caso letterario che avrebbe riempito le pagine dei giornali d’estate, con un dantista del calibro di Marco Santagata a giurare e spergiurare, partendo da domenica scorsa sull’inserto del Corriere della sera, che la sua esegesi sui testi della narratrice ghost porti indizi inequivocabili per arrivare a darle un nome e cognome preciso: quello di Marcella Marmo, appunto.

Sarebbe un gioco di letterati, studiosi e narratori, su cui hanno già commentato autorevoli firme come Francesco Durante, se non fosse per alcune riflessioni parallele non letterarie. Si può restare bloccati in una notorietà di settore per poi diventare improvvisamente famosi non per il proprio lavoro, ma per una sorte di luce indiretta? Temi pirandelliani, dove il fu Mattia Pascal indossa stavolta vesti femminili e mischia carte di carriere e fama sullo sfondo di un oggetto pregiato, spesso trascurato: il libro.

Altri avrebbero potuto sguazzare nell’ambiguità, giocare sul detto e non detto, sul non sono io ma potrei. Invece, chi conosce da tempo Marcella Marmo sa che questo modo di fare non è nelle sue corde, che la serietà e il rigore l’hanno sempre contraddistinta. E allora lei ha subito negato, si è subito schernita, ha rivendicato il suo lavoro che porta avanti da tempo.

Un lavoro sui documenti, che l’hanno portata a pubblicazioni sulla camorra ottocentesca, con saggi editati da Einaudi e da editori napoletani. La repressione di Silvio Spaventa, i tumulti camorristici del giugno 1860 con la famosa intesa tra il ministro Liborio Romano e il capintesta Salvatore De Crescenzo per agevolare l’ingresso a Napoli di Garibaldi, il processo Cuocolo sono alcune delle vicende studiate dalla docente attraverso documenti d’archivio. A volte affiancata da un altro studioso e docente napoletano: Luigi Musella.

L’ultima volta ho ascoltato Marcella Marmo al cinema Metropolitan, mentre parlava del processo Cuocolo in occasione della proiezione del film “Processo alla città” di Zampa. Ma insieme avevamo tenuto anche un interessante dibattito a Lamezia Terme, al festival “Trame” sulle pubblicazioni sulle mafie voluto allora da Tano Grasso, dove parlammo del suo testo “Il coltello e il mercato”. Rigore, difesa di un lavoro che bandisce voli pindarici, esercizi di stile letterarie, per andare ai fatti, alle ricostruzioni, alle analisi. Un lavoro da docente e non da narratrice fantasiosa.

Il punto è lavorare una vita e poi avere notorietà perchè identificata con un autore fake, che oltre alla sua abilità narrativa ha potuto beneficiare anche di un mistero d’identita giocato con capacità editoriale. Certo, conoscendo Marcella Marmo, sono sicuro che non stia provando crisi d’identità. Sa molto bene chi è, cosa ha fatto, cosa fa. E’ stata una delle prime all’Università, poi seguita da altri quando la camorra è diventata moda letteraria, ad indirizzare le sue ricerche accademiche sulla criminalità organizzata napoletana. E chissà quanti le avranno telefonato, l’avranno cercata in queste ore. Potenza dei riflettori e del successo che, stavolta, arriva di riflesso. Potenza di una società della comunicazione che è anche questo e questo produce.

Dal blog Controstorie sul sito www.ilmattino.it

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Published by
Gigi Di Fiore