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Sogno la Calabria del talento e non quella delle raccomandazioni

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Lo spaccato tracciato da “Il Sole 24 Ore” nella sua analisi sulla crisi italiana getta una luce tetra sul futuro del Paese e ancor di più su quello di molte realtà del Meridione. Tutti gli indicatori, a partire dall’occupazione per finire con i prezzi degli immobili in caduta libera, ci raccontano di un Paese che scivola lentamente verso l’impoverimento, ma che soprattutto sembra aver perso la propria bussola storica: il genio italico.

Tutti gli innovatori dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, si riempiono la bocca delle parole di Steve Jobs, spesso solo professate a mo’ di poesiuola scolastica, ma  quell’essere affamati e folli, lo abbiamo inventato noi italiani, con i geni che abbiamo da sempre espresso nell’arte, nella cultura, nella ricerca. Quel DNA è il nostro, non quello della Silicon Valley; è il DNA di tanti meridionali capaci di sfidare qualsiasi convenzione pur di persiguire i propri sogni e di saziare la voglia di successo, di arrivare, di dimostrare che essere del Sud è un pregio e non un difetto, un’opportunità, non un limite.

Per ridare speranza all’Italia, a noi giovani, c’è bisogno di accettare che dobbiamo essere in grado di ritagliarci un nuovo-vecchio ruolo: quello dei pionieri, di coloro che si spingono sempre oltre le frontiere percepite dagli altri, proiettati verso la perfezione e l’innovazione.

C’è bisogno di tornare a credere più nei sogni, che nelle raccomandazioni, più in se stessi che nei finanziamenti, più nel “capitale umano” che in quello finanziario, perché solo così si può creare valore e di conseguenza ricchezza. Perché solo il sogno può guidarci verso il futuro, verso il cambiamento, verso l’innovazione.

Certo, non possiamo dimenticare di vivere in un Paese “impagliato”, incapace di valorizzare i talenti, di far emergere le storie; sempre allineato alle cooptazioni e alle appartenenze del Potere che non lasciano scampo ai talenti liberi, a quelli che davvero vorrebbero cambiare il sistema, facendo invece incetta di mediocri. Ma non possiamo tanto meno accettare che ognuno si pieghi a questo sistema, che si faccia l’inchino al boss ogni giorno della propria vita.

Dobbiamo comprendere che anche in Italia, anche al Sud, anche in Calabria da soli se si è bravi, se si studia, se si lavora quotidianamente sudando, la possibilità di emergere e dimostrare il proprio valore c’è e c’è per tutti. E magari la fatica sarebbe migliore se si parlasse, se ci si fidasse e oltre ogni stereotipo 2.0 si facesse davvero Rete. Bisogna credere e provare, sognare e continuare a sognare, fino a quando non si aprano le porte e i sogni non diventino realtà.

Non possiamo permetterci di abbandonare i nostri sogni, le nostre passioni; non possiamo più permetterci la fuga, il dimenticare le origini, il desiderio.

Perché, andando avanti così sembra proprio che lo scenario al Sud stia sempre più diventando questo: chi ha un sogno, ma non ha la forza, la voglia di lottare per realizzarlo o l’opportunità in tempi brevi, scappa, va via… lascia il sogno, lascia se stesso, la propria terra e si consola con uno stipendio e “una bella” vita e le soddisfazioni del Nord o dell’Estero da sbandierare al ritorno nel periodo delle ferie.

Mentre qui, sulla frontiera rimangono coloro che lottano quotidianamente per vedere realizzata la propria aspirazione e vedere anche cambiare la propria terra, quel  panorama che conoscono a mena dito, ma che quotidianamente scrutano con  rinnovato interesse ed emozioni, cercando qualcosa di diverso, di nuovo. Restano i puntini bianchi dei “lottatori”, dei masochisti forse, assieme a macchie nere e zone grige, che rendono i talenti isole in un mare impetuoso, che rende difficile l’incontro, la contaminazione e tutto sembra restare immutato, mentre un puntino bianco si spegne e un altro si accende, nel silenzio; anzi nel frastuono di un’informazione che non conosce, che non guarda a fondo e si lascia indirizzare da “segnalazioni”, notizie non verificate e storie di plastica.

Così, in questa Calabria e in questo Sud si è sdegnati per l’inchino in una processione, ma non si vedono le migliaia di inchini quotidiani, quei grazie che hanno un sapore antico, che stridono con il Mondo di oggi, con la legalità, con l’amor proprio e con i bambini che sanno ancora sognare, da cui se gli “rompi il giocattolo” non ti prendi un grazie, ma la furente rabbia; quella rabbia che tutti dovremmo riscoprire e trasformare in grinta per smettere di dire “grazie”.

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Published by
Rocco Sicoli