Dalla biennale di architettura una traiettoria di sviluppo per il sud

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A Venezia, la 18° Biennale di Architettura ha aperto le porte. Per sei mesi sarà possibile immergersi – tra i giardini e l’arsenale – nel racconto di un mondo futuro tra ecologia, nuove spazialità emerse per far fronte alle crisi climatiche e innovative tecnologie di costruzione.  “The laboratory of the future” è il tema portato avanti dalla curatrice Lesley Lokko che pone al centro il continente Africano. Un laboratorio dal quale apprendere per sorprenderci, un laboratorio per immaginare un mondo più giusto, decarbonizzato e umano. Seguendo questa traiettoria d’indagine il Leone d’oro per la miglior partecipazione nazionale è stato affidato dalla giuria guidata dall’Arch. di origine siciliana Ippolito Pestellini Laparelli al Padiglione del Brasile “Terra/Heart” e allo studio DAAR per la miglior partecipazione. 

Biennale giovane, fresca e sperimentale

E’ una Biennale giovane, fresca, sperimentale che oltre al gesto architettonico classico pone la domanda su cosa sia oggi un Architetto e quale la sua relazione con il territorio e la società contemporanea. In un momento in cui le trasformazioni socioeconomiche, climatiche e tecnologiche ci stanno forzatamente obbligando a ripensare la nostra società, diventa necessario quindi ridisegnare la nostra spazialità a partire dalle nostre case, spesso non adeguate a reggere climi sempre più estremi o i luoghi di lavoro e dell’educazione, ormai spesso obsoleti. L’architetto e il pianificatore diventano quindi agenti del cambiamento, figure essenziali per disegnare un impatto generativo e positivo. 

Per costruire un mondo migliore occorre immaginarlo

Di grande rilevanza è “Carnival” il public program che si svolgerà durante i sei mesi della Mostra in un susseguirsi di conferenze, tavole rotonde, film e performance con lo scopo di esplorare diversi temi a partire dalla dichiarazione della stessa curatrice: “Al cuore di ogni progetto c’è lo strumento principe e decisivo: l’immaginazione. È impossibile costruire un mondo migliore se prima non lo si immagina”. Divisa in sei parti, la Biennale Architettura 2023 comprende 89 Partecipanti, di cui 63 le Partecipazioni Nazionali che organizzano le proprie mostre nei Padiglioni ai Giardini (27) e all’Arsenale (22). Di rilievo, dopo anni di assenza di una concreta proposta c’è Il Padiglione Italia, che presenta nei suoi spazi alle Tese delle Vergini all’Arsenale, SPAZIALE: Ognuno appartiene a tutti gli altri, a cura dell’impeccabile e coraggioso collettivo Fosbury Architecture. In generale a sorprendere è il carattere multidisciplinare, trasversale e tematico dei padiglioni, capaci di costruire una critica e una riflessione attraverso l’esplorazione di argomenti oggi al centro della nostra quotidianità. Il Padiglione Olandese è un luogo nel quale si sperimentano sistemi alternativi per economie rigenerative e orientate al futuro, il Padiglione Danese ragiona sull’innalzamento dei mari causato dallo scioglimento dei ghiacciai e offre un catalogo di proposte per il futuro costiero fondato sette principi basati sulla natura. Il Padiglione Canadese parte da una riflessione su come la trasformazione della terra e delle case in beni che generano profitto stia causando alienazione e propone una serie di azioni concrete per riparare alla carenza di alloggi. Il Padiglione del Brasile propone una contronarrativa sull’edificazione della città di Brasilia, non più visto come un piccolo gioiello architettonico ma interpretata come  un atto di nuova colonizzazione a discapito delle popolazioni e delle civiltà autoctone. Il Padiglione Italiano invita i progettisti della nuova generazione, under trentacinque che hanno già assimilato le sfide del pianeta e messo a punto pratiche e traiettorie, a riconoscersi come movimento per il futuro dell’Italia. 

Quel PNRR che non funziona anche per mancanza di immaginazione

Con Resto al Sud ci siamo chiesti se il tema della 18° Biennale “The laboratory of the future” possa essere una traiettoria per lo sviluppo del Sud Italia e quindi quale sia il ruolo dei progettisti, degli urbanisti e della nuova generazione nativa di un mondo in crisi e per questo spesso capace di trovare soluzioni migliori, più economiche e molto estetiche. Ci siamo chiesti come il PNRR e i bandi per lo sviluppo territoriale potrebbero beneficiare di una prospettiva progettuale ispirata alle tematiche condensate in questa Biennale. Alla morsa burocratica dovremmo affiancare la nuova generazione di Architetti e progettisti? Perché sappiamo, almeno a livello territoriale, che il PNRR non sta funzionando non solo per carenze di competenze tecniche ma anche per una carenza diffusa di immaginazione. 

Per rispondere a questa nostra domanda con Resto al Sud abbiamo chiesto direttamente a chi questa Biennale l’ha pensata e interpretata:

D1) Ippolito Pestellini Laparelli, presidente della Giuria per l’assegnazione dei leoni d’oro. Da architetto di origini siciliane che fin da giovanissimo si è trovato a confrontarsi con sfide planetarie, pensi che i temi trattati in questa Biennale possano diventare una traiettoria percorribile per il Sud Italia? Il Sud Italia ha un disperato bisogno di architettura, quali soluzioni per il futuro?

“Nel presentare “The laboratory of the Future” la direttrice della XVIII Biennale di Architettura di Venezia, Lesley Lokko, ha parlato di Africa come il continente che più di ogni altro si è già dovuto confrontare con i drammatici effetti della crisi climatica e le urgenze ad essa collegate, trovando soluzioni creative a fronte di una scarsità cronica di risorse.  Africa come laboratorio da cui imparare quindi. Con le debite proporzioni e differenze sembra un messaggio applicabile all’area Mediterranea, e al Sud Italia nello specifico – frontiera e campo di sperimentazione di una transizione inevitabile.  Gli assi tematici che questa Biennale indaga sono la decarbonizzazione e la decolonizzazione – temi intrecciati da vicende storiche che legano in generale il nord al sud del mondo attraverso lo sfruttamento e l’estrazione brutale di risorse materiali e umane (ed anche in questo caso una relazione declinabile su scala Italiana – vedi a proposito il progetto vincitore del Leone d’Oro di DAAR, Ente di Decolonizzazione – Borgo Rizza) I progetti in mostra indagano e superano questo rapporto offrendo letture critiche del passato, pratiche di decolonizzazione, possibili scenari di futuri decarbonizzati. Nella maggior parte dei lavori in mostra l’architettura è un medium non il fine. Ed è proprio qui che sta il punto. Bisogna superare l’idea che l’architettura sia solo progetto costruito e motore di sviluppo economico e abbracciare l’idea che l’architettura in quanto pratica spaziale, sia soprattutto uno strumento di indagine e di riconciliazione – ambientale, storica, politica, sociale – attraverso cui rileggere e re-immaginare il territorio a partire da una nuova visione del mondo non patriarcale, non estrattiva, ecologica. Questo vale tanto per il Sud quanto per le altre regioni d’Italia (e oltre). L’idea che le città e i territori si rinnovino attraverso grandi progetti calati dall’alto è un retaggio del XX secolo e di un sistema ormai insostenibile per il Pianeta. Le urgenze con cui ci confrontiamo necessitano di letture profonde e approcci interdisciplinari a lungo termine, della mobilitazione di risorse e conoscenze locali, di letture critiche della storia, di utilizzi consapevoli delle nuove tecnologie, di un pensiero realmente inclusivo nei confronti delle altre specie con cui condividiamo questo fragile mondo.”

D2) Parasite 2.0, architetti selezionati a partecipare al Padiglione Italia.  La relazione tra Architettura ed educazione è una relazione di cui si dovrebbe parlare molto di più, voi l’avete esplorata ampiamente negli ultimi dieci anni. Quali sono secondo voi delle azioni che dovrebbero essere promosse affinché si possa riparlare di immaginazione anche nei contesti più degradati? 

“La prima azione è forse l’ascolto. Quando si opera in contesti cosiddetti degradati, che preferiamo chiamare marginalizzati, spesso si sbaglia l’approccio iniziale. Spessi si entra questi contesti con tanti preconcetti e giudizi precostuiti. Diciamo che con presunzione, si pensa di sapere esattamente cosa questi luoghi e i loro abitanti richiedono, stabilendo anche le modalità d’intervento. In qualche modo invece, a parer nostro, si dovrebbe fare un passo indietro, trasformarsi in strumento e aprirsi all’ascolto, in modo da poter attivare un dialogo senza barriere. Il problema degli interventi in questi contesti marginalizzati è spesso proprio questo, l’assenza di ascolto e dialogo. Da qui, seguendo questo tipo di dinamiche, spesso si sviluppa un rifiuto degli abitanti locali verso queste opere, che vengono percepite come calate dall’alto. Spesso questo porta a opere di vandalismo contro gli interventi stessi. In questo senso, per prevenire che questo accada, ci può venire incontro appunto la pedagogia e la relazione tra spazi urbani, architettura ed educazione. Attraverso il gioco, che non può più essere visto nella sua accezzione infantile, si possono creare metodologie di coinvolgimento, sia nei procesi decisionali che in queli più progettuali\spaziali. In questo modo, ripartendo dai punti espressi nella domanda, si può riparlare di immaginazione ma in chiave collettiva, attraverso processi ludici di coinvolgimento.”

D3) Fosbury Architecture, curatori Padiglione Italia. Una nuova generazione di architetti è chiamata a ridisegnare l’Italia in un momento di “crisi permanente”. Da architetti ed esponenti di questo movimento, come vedete la sfida del Sud Italia? Siete mai stati chiamati ad operare al Sud?

“Il Padiglione Italia alla 18° Mostra Internazionale di Architettura alla Biennale di Venezia, che abbiamo curato, ha lanciato 9 progetti pionieri in 9 località che abbiamo ritenuto sintomatiche di condizioni di fragilità o potenziale della nostra penisola. La metà di questi progetti si trovano nella porzione più meridionale del Paese. A Belmonte Calabro gli invitati (orizzontale e Bruno Zamborlin) hanno riflettuto sul divario digitale nelle aree interne, in un piccolo borgo Calabro in via di depopolamento, ma da anni sapientemente rivitalizzato dal gruppo internazionale La Rivoluzione delle Seppie. Nella Baia di Ieranto, riserva naturale protetta dal FAI e situata in una insenatura nella costiera sorrentina, lo studio BB e il festival musicale Terraforma hanno cercato una riconciliazione con l’ambiente e con il passato mitologico ed industriale di quell’area. Sui tetti di Taranto, al cospetto del Centro siderurgico e in una delle città più inquinate d’Europa, gli invitati (Post Disaster con Silvia Calderoni e Ilenia Caleo) hanno sviluppato un programma di tre giorni per riflettere sulla convivenza con il disastro ambientale. Infine nel quartiere Librino (Catania) studio Ossidiana e Adelita Husni-Bey si fanno interpreti di un desiderio collettivo di ombra, protezione e leggerezza, proponendosi di immaginare una pedagogia alternativa per i bambini del quartiere. In ognuno di questi progetti i gruppi di ricerca e progettazione interdisciplinari hanno tracciato percorsi differenti di lettura e occupazione dello spazio per offrire una visione estesa e rinnovata di spazio pubblico. Questi diversi contributi sono accomunati dalla volontà di riscoprire e risignificare luoghi esistenti per cercare una comprensione più ampia dei rapporti tra i territori e coloro che li abitano. L’agenda, ancora incompleta, di sfide del contemporaneo che abbiamo lanciato risulta particolarmente urgente nel Sud Italia dove però, allo stesso tempo, è stato possibile raccogliere da subito riscontri tangibili e un sostegno ancor più significativo da parte delle associazioni e delle comunità locali.”

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Published by
Dario Nepoti