#PinoDaniele, quando la parola arte può avvicinarsi alla parola #musica

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Quando muore un cantante popolare come Pino Daniele, ci si chiede se è parte della storia della musica o meno. Daniele lo è.

Poi ci si domanda se è parte della storia italiana e credo che Daniele non lo sia, ma è parte della storia di una città. Una metropoli come Napoli, ex capitale di un regno, città di dimensione internazionale per via di un paesaggio unico, per la sua arte e per la filosofia di vita.

Pino Daniele, pur avendo una dimensione nazionale omogenea, era ed è per i napoletani un’icona della loro identità e dello spirito di appartenenza. La stessa situazione di Eduardo De Filippo. Ma De Filippo ha fatto parte anche della storia di questa nazione. Riconosciamolo.

Pino Daniele ha lasciato un vuoto palpabile. Ai napoletani manca la sua presenza. E tutti cercano simbolicamente di coprire quel vuoto, ascoltando la sua musica.

Il giorno della sua morte la metropolitana di Napoli ha emanato tutto il giorno le sue canzoni dagli altoparlanti.

Daniele è stato un’artista nel senso alto della parola, perché il suo talento non è sfuggito ai geni musicali del nostro tempo. Che lo hanno chiamato sovente a divertirsi con loro o ad averlo al loro fianco per una esibizione. Egli è stato una di quelle persone che con una chitarra in mano ed una voce parte integrante della musica, era capace di suscitare emozioni. Un po’ come quando si ascolta un frammento di Sinatra o di Ella Fitzgerald. Daniele non aveva la stessa dimensione, ma appartiene a tale categoria.

Quegli artisti unici, quanto degni di avere il titolo che mutua dalla parola arte.

Dispiace averlo perso, ma rimane la consolazione di aver avuto quasi quaranta anni della sua espressione. Dai balbettii del 1976, passando per la maturità, sino alla fase della meditazione.

Pino Daniele, involontariamente, ha ammonito sull’uso disinvolto che si fa del termine artista, quando ci si riferisce alla canzone e alla musica.

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Published by
Gianvito Pizzi