Così muoiono i #musei della #Sicilia, tra pigrizia e incompetenza

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Le polemiche non potevano mancare. Come da copione. Provincialismo e pressappochismo contraddistinguono un certo dibattito puramente ideologico, che bolla la nomina dei direttori dei musei come un’operazione anti-italiana: 7 stranieri su 20 sono troppi? No, perché non è mai troppo il merito. Perché non è mai troppa la battaglia contro nepotismi, sistemi chiusi e autoreferenziali, orizzonti brevi e immobilismi.

La riforma messa in atto dal Ministro Dario Franceschini – fra autonomie speciali, poli museali, selezioni tramite concorsi pubblici internazionali, senza dimenticare l’iniziativa dell’Art Bonus – rappresenta una reale rivoluzione del sistema. Qualcosa che l’Italia, nella sua cancrena burocratica e politica, aspettava da decenni. Parole d’ordine: alleggerire, velocizzare, mettere in rete, programmare, scegliere. E naturalmente investire. Partendo dalle competenze.

Chiaramente, ciò che accade nel resto del paese, non scalfisce nemmeno lontanamente la Sicilia. Tranquilli, qui resiste l’argine dello statuto speciale, queste “americanate” da noi non sbarcheranno. Come vengono nominati i direttori dei musei regionali siciliani? Un concorso internazionale? Non sia mai, impedito dalla legge che obbliga a scegliere solo tra dirigenti impiegati della regione, tramite degli “atti di interpello” interni, con piena discrezionalità del dirigente generale.

In sostanza, una nomina diretta tutta interna agli uffici della Regione. I musei siciliani come le “società municipalizzate“. Questo significa che mai un curatore di livello internazionale, un grande storico dell’arte, un manager culturale esperto, sono stati individuati tramite bando per guidare i musei siciliani. Sempre e solo dipendenti pubblici pagati a prescindere dal profitto e dagli obiettivi raggiunti.

Per carità ce ne sono di molto bravi, ma possibile che si possa solo scegliere tra i dipendenti regionali? Una follia. I risultati? Sono sotto gli occhi di tutti. Strettamente connesso è il tema autonomia: i musei restano legati a impalcature burocratiche folli, impossibilitati a gestire con tempi, modi e approcci efficaci le loro attività. Tutto passa dalle complesse trafile regionali.

Impossibili le collaborazioni esterne qualificate, impossibile portare a termine con facilità cooperazioni con sponsor e partner privati, impossibile acquistare materiali, provvedere a servizi, gestire i proventi dei biglietti, immaginare programmi e trovare fondi per finanziarli, in totale autonomia: in una parola nessuna indipendenza gestionale-amministrativa.

Il che significa anche nessun concorso pubblico internazionale per selezionare direttori, curatori, conservatori, consulenti, uffici stampa, staff didattici e organizzativi. Quello che fanno cioè, con ottimi risultati, realtà private come Fondazione Prada o Fondazione Trussardi, oppure pubbliche come il Mart di Trento e Rovereto, per fare giusto degli esempi in Italia. O adesso o mai più: anche la Sicilia si adegui alla rivoluzione avviata a Roma dal governo Renzi e liberi i beni culturali da questa gabbia.

Faccio un appello all’assessore Antonino Purpura, che so essere persona sensibile e preparata. Cambi tutto. Concorsi pubblici per i direttori (basati sul merito e non sull’appartenenza geografica o sul ruolo dirigenziale interno), autonomia e costituzione di poli museali, in cui i piccoli musei siano messi a sistema con i più grandi, potendo lavorare in maniera integrata, collaborativa ed efficiente.

Quanto ancora dovremo vedere morire i nostri musei, sprofondati nel sonno, nella pigrizia e nell’incompetenza? Se davvero si vuole far diventare il patrimonio dei beni culturali siciliani il polo attrattivo per i turisti e l’eccellenza in grado di innescare ricadute economiche territoriali, si faccia come a Roma: si dia ai maggiori siti museali o archeologici più importanti della Sicilia, riuniti e riorganizzati, l’autonomia gestionale-amministrativa necessaria, gli obiettivi di maggiore valorizzazione e fruizione, e si chiamino a gestirli i migliori esperti nel settore della cultura, selezionati a livello internazionale e in grado di condurre la Sicilia a un livello europeo.

Dal Museo Abatellis al Museo Salinas di Palermo (il primo e unico Museo nazionale ottocentesco della Sicilia), dalla Villa del casale di Piazza Armerina ai parchi archeologici di Selinunte, di Segesta e di Neapolis (in attesa di diventare effettivamente autonomi, come quello della Valle dei Templi di Agrigento, con procedure in corso da accelerare), dal Museo archeologico Paolo Orsi al Museo Riso (autonomo solo sulla carta, ma privo del regolamento attuativo). E sono solo alcuni casi.

Si costruisca un rapporto sinergico con la scuola e l’università. Il sistema duale, l’alternanza scuola/lavoro, può trovare spazio anche nei musei, nei siti archeologici, non solo nelle aziende. Così si fa la rivoluzione, non a chiacchiere. Si introduca una norma speciale per un settore strategico speciale. Si attivino finalmente i servizi aggiuntivi. E basta custodi a non finire per lasciare chiusi i musei, basta orari d’apertura decisi con i sindacati e non valutati per consentire una migliore fruizione del pubblico. Musei aperti come i più grandi e migliori poli museali europei, da Barcellona a Parigi a Londra, luoghi di cultura dove, dai bambini agli adulti, si possa fruire la bellezza che vi è custodita senza il rischio di trovarsi chiusa la porta, come spesso accade, purtroppo, in Sicilia. Che i nostri beni culturali siano un valore da fruire, un bene sociale prioritario da mettere in circolo, un sistema da valorizzare realmente – non solo da conservare, per i pochi che vi lavorano – pensato a misura dei tanti cittadini e turisti che vogliono e devono potervi accedere come si conviene.

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Published by
Davide Faraone