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La morte assurda del ragazzo che tutti chiamavano Maradona

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Luigi Sica è morto in modo assurdo, per quella “moda” che vi è tra i ragazzi: portare nelle tasche dei jeans, del giubbotto o dello zainetto della scuola, oltre al più moderno dei telefoni cellulari, anche un coltello, piccolo, come quelli da cucina.

E’ accaduto tutto la sera del 16 gennaio 2007, in via Santa Teresa degli Scalzi, punto di ritrovo dei ragazzi della Sanità.

Poco dopo le 22, in prossimità di un distributore di benzina, Luigi, un ragazzo di 15 anni, soprannominato “Maradona” per la sua passione per il calcio, si reca ad incontrare gli amici di sempre dopo essersi allenato su un campetto di Secondigliano, coltivando il sogno di diventare come il suo grande idolo Fabio Cannavaro.

Poco distante si è radunato un altro gruppetto di amici, tra cui un quindicenne, Ciro.

Bastano poche battute e si consuma il dramma. Luigi tira un ceffone a Ciro, che si allontana in compagnia di Mariano, suo amico quattordicenne, minacciando Luigi con poche, tremende parole: “Io ti uccido”.

Ed è proprio Mariano che spinge Ciro a concretizzare la minaccia fatta, offrendogli l’arma del delitto, un coltello a serramanico acquistato sulle bancarelle dei cinesi ai Vergini. Tornato sul posto, Ciro uccide Luigi con tre coltellate: la prima alle spalle, la seconda al collo, la terza, infine, trafigge il pericardio. Luigi crolla a terra esanime, in un lago di sangue. Morirà poco dopo all’ospedale San Gennaro di Napoli.

L’assassino nel frattempo trova rifugio presso l’abitazione di alcuni amici. Quando la polizia si reca a casa sua, il padre, all’oscuro della vicenda, resta sgomento, ma poi decide, dopo una telefonata, di raggiungere i poliziotti in compagnia del figlio, accompagnandolo quindi in questura per farlo costituire.

Mariano, il complice, si costituirà qualche giorno dopo, e sarà condannato a 10 anni di carcere. Al giudice del tribunale per i minorenni, Ciro dirà che l’offesa subita davanti ai suoi amici era troppo grande e che era tornato armato di coltello da Luigi “per dimostrare di non essere scemo”. Sarà condannato a 15 anni di reclusione, optando, come il suo amico complice, per il rito abbreviato.

Possibile che uno schiaffo possa rappresentare la causa di un omicidio? Possibile che uno schiaffo sia un’offesa da lavare con il sangue?

Luigi era un ragazzo come tanti, che lavorava in una pelletteria e la sera rincorreva il sogno di entrare a far parte del Parma Calcio giovanile.

La madre, Anna, non potrà darsi mai pace per l’accaduto. Più che il legittimo desiderio di giustizia, colpisce questa sua frase, rilasciata pochi giorni dopo la drammatica uccisione del figlio: “Non posso più pensare al letto di Luigi, vuoto”.

Anche nel suo nome, rinnoviamo il nostro impegno.

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Published by
Alessandra Clemente