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Zes, chiave di sviluppo del Sud ma ancora tante incertezze

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  • Le Zes sono state previste per le sole aree della convergenza
  • Principio ispiratore: dotare il Mezzogiorno di fiscalità di vantaggio e infrastrutture
  • Burocrazia e carenze logistiche sono un freno per il loro sviluppo

Puntare verso il mare dovrebbe diventare il principale driver di sviluppo del Sud. Per questo motivo, quattro anni fa, vennero create le Zes – Zone Economiche Speciali, introdotte dal decreto legge 20 giugno 2017.

Le Zes sono state previste per le sole aree della convergenza, immaginandole come la chiave per lo sviluppo delle aree depresse del Mezzogiorno. Opportunità e sfida al tempo stesso, le ZES offrono alle aziende che investono nel Mezzogiorno incentivi fiscali e snellimenti burocratici, ma apporteranno benefici concreti soltanto  se tutti gli attori – privati e istituzionali – daranno prova di avere ampie competenze e un’adeguata capacità di progettazione.

I vantaggi delle Zes

Il principio ispiratore delle Zes, in fondo, è semplice: dotare il Mezzogiorno di vantaggi essenziali, fiscalità di vantaggio e infrastrutture, per poter poi affacciarsi ai mercati internazionali, superando lo storico gap di competitività.

Ancora oggi, tuttavia, le Zes appaiono per il Sud Italia una chimera. Sono soltanto due i commissari nominati dal Governo, rispetto ai 7 che dovrebbero guidare ciascuna zona individuata. Il rischio dell’ennesima occasione perduta è concreto.

In Europa e nel mondo

Oltretutto, parlare di Zes come assoluta novità è un falso storico. Da oltre 50 anni le Zes sono le forma urbana a diffusione più rapida. In principio erano pensate soltanto come un’anomalia amministrativa, una sorta di accelerante utile a far partire un’economia. La prima Zes venne introdotta in Irlanda alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, ed oggi  se ne  contano più di 4300 in tutto il mondo 4.300 in oltre 130 Paesi. Le imprese insediate in queste zone danno direttamente lavoro ad almeno 40 milioni di persone e il loro export vale circa 200 miliardi di dollari. Esempio scolastico di come possano funzionare a regime le Zes è Shenzen, città trasformata da villaggio di pescatori a Hub globale del commercio e della logistica. A Shenzen, trent’anni di zona economica speciale hanno moltiplicato di cento volte il pil pro capite. Anche le esperienze in Unione Europea confermano le Zes come dei  formidabili catalizzatori per lo sviluppo.  In  Polonia le 14 ZES istituite a partire dal 1994 nelle regioni meno sviluppate hanno completamente cambiato il volto del Paese. 

Gli ostacoli in Italia

Perché l’Italia non riesce a utilizzare correttamente questo strumento? Il primo errore consiste nel non avere emanato una legge organica dedicata a regolamentare la materia. Le Zes italiane sono “figlie” di due articoli di legge inserite nel più ampio contesto normativo – l’ennesimo, a dire il vero – dedicato al sempiterno obiettivo della crescita economica del Sud Italia: la legge del 3 agosto 2017, avente come titolo “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno”. Questa prassi legislativa ha creato confusione e incertezza operativa negli enti territoriali, responsabili dell’iniziativa di richiesta di istituzione delle ZES e della redazione dei Piani di Sviluppo Strategico.

Stessa incertezza è stata ingenerata negli  investitori che non hanno ancora di fronte una chiara definizione dello scenario regolamentare ed operativo nel quale dovrebbero investire le proprie risorse economiche. Dietro le Zes, quindi, spunta il vecchio vizio italiano: la burocrazia e i suoi orpelli. Altro freno allo sviluppo delle Zes è quello legato alle carenze logistiche degli scali portuali e alla carenze delle infrastrutture di collegamento. Argomento da approfondire, poiché la fragilità del sistema infrastrutturale fa venir meno i requisiti per la Zona economica speciale. Ancora una volta, un bel paradigma di sviluppo rischia di incenerirsi in modalità “cattedrale del deserto”.

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Published by
Piero Messina
Tags: zes