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Il capolavoro del cinema perduto e ritrovato
23 Lug 2013 12:08

Per cinquant’anni è stato dimenticato e si ipotizzava fosse andato perduto: si tratta del film ‘Divino amore’ di Cecilia Mangini, girato nel ’63, parla di un luogo di culto popolare alle porte di Roma ed è stato ‘ritrovato come per miracolo.

Secondo molti critici, si tratta di un ‘capolavoro’, che inaugurerà il 24 luglio a Specchia la decima edizione della ‘Festa di Cinema del reale’, il festival del documentario diretto dal regista Paolo Pisanelli.

I lavori di Cecilia Mangini, considerata una delle pioniere del documentario europeo, rivisti a distanza di anni, conservano intatta la profonda passione civile che ha animato le sue opere e che le ha permesso di essere testimone di un’intera epoca.

Incontrare oggi la regista Cecilia Mangini – ricordano gli organizzatori del festival – significa davvero toccare con mano che cosa è stato un certo cinema documentario per l’Italia della seconda metà del Novecento: un’unione di passione civile, volontà di scoperta, desiderio di raccontare un mondo in trasformazione”.

La storia di Cecilia Mangini ha inizio 86 anni fa a Mola di Bari, all’epoca piccolo borgo marinaro ad una ventina di chilometri dal capoluogo.

Il padre pugliese e la madre toscana si trasferiscono a Firenze quando la bimba ha sei anni e qui la regista compie i primi passi nel cinema dell’Italia del dopoguerra, prima come critica e saggista (scrive per Cinema Nuovo, Cinema ’60, Eco del cinema e fonda il cineclub Controcampo) e poi come regista di documentari e sceneggiatrice.

Lavora con suo marito Lino Del Fra e collabora soprattutto con Pier Paolo Pasolini in documentari sulle periferie cittadine: Ignoti alla città (1958) e La canta delle marane (1960), Stendal (1960), sulle lamentazioni funebri nella provincia di Lecce (anche sull’analisi di studi di Ernesto De Martino).

Con il boom industriale si occupa dei drammi legati alla fabbrica e nel 1962 firma, con il marito e Lino Miccichè, All’armi, siam fascisti!, che parla del fascismo dalle origini fino ai fatti di Genova del 1960.

È instancabile: lo scorso anno è stata a Taranto per raccontare e sostenere le mobilitazioni cittadine contro l’inquinamento dell’ industria siderurgica.

‘Divino amore’ (1963) si allinea alle altre sue opere: è dedicato al celebre Santuario alle porte di Roma, meta della devozione popolare della Capitale, “un luogo e un culto – ricordano gli organizzatori – dalle molte suggestioni, cui avevano già guardato la letteratura, con il Gadda del Pasticciaccio, e il cinema, grazie al Fellini de Le notti di Cabiria“.

“Il mio colloquio con Fellini – racconta Cecilia Mangini sul catalogo della Festa di Cinema del reale – è avvenuto molto tempo fa … Fellini era un grandissimo narratore e un fantastico bugiardo. Non mi ricordo se l’idea di girare Divino Amore l’ho avuta in quel momento, di sicuro è un’idea nata come negazione dell’episodio de La dolce vita, che non condividevo”.

L’opera era in anticipo sui tempi, rifiuta la presa diretta, abolisce il commento off e affida alla musica d’avanguardia di Egisto Macchi la contestualizzazione del culto dell’immagine della Madonna.

Quando uscì, Il film venne osteggiato dalla Commissione dei Premi di Qualità dell’epoca che, bocciandolo, ne compromise di fatto la distribuzione. Fino ad oggi.


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