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Il “contratto di ricollocazione” che sfida la crisi. E’ l’innovazione diventata legge di cui nessuno parla
07 Feb 2014 07:33

La silenziosa rivoluzione del Comma 215. Nel corposo provvedimento identificato come Legge di Stabilità 2014, è rimasta stranamente lontana dai riflettori un’autentica innovazione – da attribuire all’iniziativa politica del senatore Ichino – che può significare moltissimo per il mercato del lavoro italiano del prossimo futuro: la possibilità di sperimentare nelle regioni il cosiddetto “contratto di ricollocazione”. E di invertire la tendenza di finanziare per lo più politiche passive di ammortizzazione sociale (ben 23 miliardi di euro nel 2012) e non anche politiche attive del lavoro (nelle quali investiamo appena lo 0,33% del PIL).

Il contratto di ricollocazione affronta in modo nuovo le crisi occupazionali e presuppone uno stretto collegamento tra politiche passive di sostegno al reddito e misure attive per il reinserimento del disoccupato nel tessuto produttivo. Ha bisogno di una stretta ed efficace collaborazione fra centri per l’impiego pubblici e agenzie private per il lavoro, in particolar modo quelle specializzate nell’outplacement. Offre ai disoccupati la possibilità di scegliere liberamente, tra quelle accreditate,  l’agenzia privata incaricata della loro ricollocazione; la quale si impegnerà moltissimo per trovar loro un nuovo impiego e non lavorare in perdita, dal momento che il pagamento del servizio reso viene corrisposto dalla Regione all’Agenzia solo a risultato ottenuto.

Per neutralizzare il rischio che le Agenzie si concentrino sulle persone più facilmente collocabili, lasciando perdere le altre, la sperimentazione prevede che l’entità di quanto può corrispondere la Regione sia differenziata in relazione al grado di “occupabilità” di ciascuna persona. In questo, vengono in soccorso alcune significative esperienze, degne di rilievo, già maturate in Lombardia, a Torino, Firenze, Pescara.

Il contratto di ricollocazione consente anche di tastare la disponibilità effettiva del disoccupato alla riqualificazione ed ad un nuovo lavoro. Nel caso di rifiuto ingiustificato di una iniziativa di formazione, o addirittura di un posto di lavoro, si prevede il dimezzamento dell’indennità di cassa integrazione o mobilità. In caso di secondo, ingiustificato rifiuto, l’interruzione.

La palla è in mano alle Regioni. Soprattutto quelle del Sud, infestate da tassi di disoccupazione a due cifre, non devono sprecare l’occasione.  La Legge di Stabilità stanzia soltanto 15 milioni per questo esperimento nel 2014, a fronte di quasi un miliardo stanziato per le politiche del lavoro passive. Ma è un primo passo. Se le Regioni rispondono e avviano interventi nei loro territori, potrebbero essere coinvolti, di qui a poco, migliaia di lavoratori, tra i più colpiti dalla crisi. Può essere l’occasione giusta per sottrarli al meccanismo perverso di ammortizzatori che durano anni e anni, sono a carico dello Stato (e della fiscalità generale) per oltre il 60% e non aiutano i disoccupati a rifarsi una vita professionale. Anzi, spesso li spingono nelle braccia del lavoro sommerso o, peggio, dell’apatia e della non ricerca del lavoro.


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