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La casa-museo dell’erede di ” ‘O surdato ‘nammorato”
28 Mar 2014 06:42

In questi giorni, al primo piano di casa Cannio, c’è un via vai continuo.

Giovani ragazzi dell’Accademia di Belle Arti che osservano, studiano e catalogano le opere, vicini di casa, perfino qualche  turista  portato chissà da chi in quelle tre stanze dove cucina, camera da letto e laboratorio sono l’uno dentro l’altra, uno spazio unico arredato con l’essenziale: un armadio, un fornello, un divano  all’ingresso.

Ma le pareti sono tutte scolpite, le sculture più piccole in una  vetrina, quelle ancora da completare, sparse sul pavimento o su un lungo tavolo.

Carmine Cannio, sessant’anni, due occhi scuri in un viso ossuto, è nipote d’arte: suo nonno, Enrico, scrisse le note di una delle più famose canzoni napoletane, ‘O  surdato ‘nnammurato, la melodia che descriveva la tristezza ma anche la speranza dei  soldati partiti per la Grande Guerra. Le pietre di tufo nella casa-museo del centro storico di Napoli, raccontano una guerra diversa, combattuta giorno per giorno.

Carmine Cannio è malato. Malato terminale: una condanna. Sua moglie è lontana, nel carcere di Lecce. Lui, dalla prigione, è entrato  e uscito più volte. Storie di ordinaria microcriminalità. Poi, in questa vita  sbandata, succede qualcosa.

Carmine comincia a scavare nelle pietre gialle e rugose della sua casa nel cuore di Napoli, a pochi metri da San Gregorio Armeno, la strada dei pastori. E dal tufo spuntano strane forme e piccoli fantasmi, lunghe  anaconde e ardite costruzioni, intricate battaglie fra angeli e demoni. La metamorfosi è improvvisa, il quartiere è incuriosito e sorpreso: la piccola casa, in vico Giganti, un budello dove raramente filtra il sole, si trasforma in uno  inedito museo, l’atelier della disperazione che diventa riscatto.

 “Sono uno scugnizzo, un Robin hood”, dice di sé lo scultore un po’ anarchico, mettendosi in petto la medaglia di una lunga serie di occupazioni abusive di case, fatte in nome e per conto dei poveri  della città. “La malattia mi ha fatto scoprire Dio, la sua immensità. E ora voglio lasciare un segno, una testimonianza. Ho accettato il mio tumore, so che le metastasi presto consumeranno il mio corpo, non potrò camminare. Ma, per questo, devo fare in fretta, voglio completare le mie opere”.

Per questo, i ragazzi  dell’Accademia, sono qui. Cercano di aiutarlo in tutti i modi, si danno da fare attorno alle sculture, accompagnano e reggono Cannio che spesso non riesce a muoversi dal letto. Una gara della solidarietà, una corsa contro il tempo. Ma anche contro la Curia che gli ha già intimato lo sfratto per morosità. La casa è di proprietà delle Opere Pie che, per ora, hanno adottato una linea morbida. Ma, quando Carmine non ci sarà più, che fine farà il suo museo?

Sarà arte? Forse sì, forse no. Ma quelle sculture sono sicuramente il simbolo di un riscatto, la forza di chi vuole trovare una speranza in una vita piena di macerie. Nel quartiere, casa Cannio è  già un’attrazione. Ci sono ragazzini che per pochi spiccioli accompagnano i turisti. I vicini che gli commissionano sculture da scolpire nel tufo del vicoletto della Scorziata. Perfino le pizzerie, fra le più famose della città, hanno chiesto i suoi forni in miniatura.

“In queste strade si parla di arte e non di criminalità”, dice una signora. In queste strade, neanche un mese fa, un immigrato aiutò  un’anziana donna contro un rapinatore. Tutti segni di un quartiere che non accetta di essere condannato al degrado. Si dà da fare anche Enzo Franco, a capo di Prestigio Italia, un’associazione che si occupa delle promozione  turistica (Arte, Artigianato Artistico, enogastronomia, visite guidate  alla scoperta delle eccellenze del territorio).

Ha preso a cuore la vicenda di Carmine: “La nostra idea è quella di inserire la sua casa in un circuito turistico, farla diventare una delle tappe della Napoli esoterica, della città che sorprende sempre, in tutti i suoi aspetti”, spiega Enzo Franco, alla guida dell’associazione.  Carmine è già stato selezionato ed ha partecipato a “Arte e Moda alla Galleria Borbonica” lo scorso Novembre. Ma, per evitare che tutta la sua opera vada dispersa spunta anche l’idea di una Fondazione. O anche, di uno sponsor, in grado di farsi carico del  piccolo fitto da versare ogni mese nelle casse delle Opere Pie. Piccoli segni, piccoli progetti del Sud che vuole risalire la china.


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