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Ricordatevi che sono esistito
12 Ott 2014 09:21

Leggendo un resoconto del Grande Naufragio del 3 ottobre 2013 al largo di Lampedusa, improvvisamente arriva il soprassalto.

La routine del dolore e dell’indignazione si impenna per un dettaglio.

Finiti in mare, i naufraghi sul punto di annegare chiedevano aiuto. Quasi tutti.

Alcuni no. Alcuni di loro cominciarono a urlare il loro nome e quello del paese da cui provenivano.

Lo ripetevano ciascuno tre, quattro, cinque volte, cercando di farsi sentire in mezzo al marasma di quei momenti.

Sul momento non se ne capisce il motivo, ma poi arriva una rasoiata di coscienza: sapendo di essere spacciate, quelle persone morivano gridando i propri dati anagrafici nella speranza che qualcuno sopravvivesse e raccontasse della loro sorte.

Nel momento estremo il loro pensiero è andato alla famiglia che avevano lasciato, al doloroso travaglio di chi non sa se piangere un figlio morto, senza avere la certezza che sia davvero morto.

Io sono io, non lasciate mia madre nel crepacuore del dubbio.

Ditele anche solo questo: che la mia vita è finita qui.

In fondo è una specifica declinazione dell’estremo anelito di chiunque: ricordatevi che sono esistito.


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