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“In Calabria solo i clan offrono lavoro”. Parla la sorella del boss
10 Feb 2014 08:35

Non lasciate che siano i clan a dar lavoro ai miei ragazzi”. E’ l’appello lanciato allo Stato, dalle pagine de L’Espresso, da Immacolata Mancuso, sorella di Pantaleone “Luni” Mancuso, detto “Scarpuni“, sottoposto al carcere duro del 41 bis e considerato il capo dell’omonima cosca che opera a Limbadi, nel vibonese ed ha diramazioni in tutta Italia.

La donna è fuggita dalla Calabria per salvare i figli e tenerli lontani dalla ‘ndrangheta. “Lo Stato – ha detto la donna al settimanale – dice di andare contro la mafia. Noi lo facciamo, ma allo stesso tempo non ci tende la mano per vivere meglio, perché ci riempie di tasse e non offre alcuna possibilità ai giovani di lavorare. In questo modo la mafia ha il sopravvento. I ragazzi vengono attratti dal denaro facile e così rischiano di finire nella rete dei mafiosi. È per questo che chiedo aiuto. Qualcuno intervenga a salvare mio figlio come pure tanti altri giovani che sono nelle sue condizioni: c’è un’intera generazione che non trova lavoro e rischia di finire nelle mani di chi vive nel crimine“.

La donna ricorda anche l’omicidio di Nicolino “Cocò” Campolongo, il bambino di tre anni ucciso e bruciato a Cassano allo Ionio (Cosenza) insieme al nonno ed alla compagna di quest’ultimo. “Mi chiedo – ha detto – con quale coraggio si può arrivare ad ammazzare un bambino. Questa mafia è uno schifo. Purtroppo nessuno parla. Tutti stanno in silenzio anche davanti ad una tragedia come quella di Cocò. La gente si sarebbe dovuta rivoltare ma purtroppo non è accaduto e nulla si farà. La maggioranza dei calabresi non cambia, continua a credere in questi assassini. La mafia fa più schifo di prima. Quella che conoscevo da bambina, perché in famiglia ne sentivo parlare, era collegata tutta a ‘don Ciccio’, mio zio Francesco, ricercato dai carabinieri ma considerato dalla gente un benefattore perché dava lavoro a tutti”. “Basta – ha concluso Immacolata Mancuso – con slogan e dichiarazioni. Ce ne sono tanti, come la targa fatta sistemare dalla Regione davanti all’ingresso del municipio di Limbadi. C’è scritto: ‘qui la mafia non entra’. Ma come, tutti sanno che è già entrata in quel Comune grazie a mio zio che ha fatto assumere alcune persone che ancora oggi sono in servizio. Come pure gli edifici confiscati che poi vengono abbandonati. C’è una villa accanto al municipio che è stata confiscata ma è completamente abbandonata e devastata dai vandali: questi scempi fanno perdere fiducia nelle istituzioni“.


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