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Il #regista che in #Calabria ha trovato l’#America
02 Set 2015 08:52

Nella fiction del naufragio, una tonnara usata a Vibo diventa approdo dei migranti: è una delle scene di “Mediterranea”, il film di Jonas Carpignano che racconta i viaggi della speranza attraverso la storia di due ragazzi del Burkina Faso. Il 31enne regista italo-afroamericano – padre di origine italiana, madre delle Barbados – ha deciso di restare al Sud dal 2010, quando arrivò da film-maker per seguire la protesta dei braccianti di Rosarno. Raccontando per immagini e testimonianze quei giorni di riot, fuochi e rivendicazioni, nel 2011 ha vinto il premio Controcampo a Venezia con il cortometraggio “A Chjàna”, nome dialettale della Piana di Gioia Tauro, il luogo sospeso tra il miraggio del secondo porto più grande d’Europa e l’integrazione possibile degli stagionali. In un lustro, Carpignano si è talmente integrato con le comunità calabrese e immigrata che le sue opere narrano la seconda con il linguaggio della prima: “Ciambra”, dal nome di un quartiere di Gioia, è il cortometraggio (premiato alla Semaine de la Critique di Cannes 2014) che costituirà l’ossatura del prossimo film, già in lavorazione perché Jonas non riesce a stare lontano dalla macchina da presa. Merito, indirettamente, del nonno Vittorio – produttore di film pubblicitari negli anni 60 – e di Luciano Emmer, fratello di sua nonna paterna e regista di “Domenica d’agosto” (1949), riduzione “rosa” del neorealismo in cui compare un giovane Marcello Mastroianni.

Con questi cromosomi, in Calabria ha trovato l’America. «Vivo con dei ritmi “umani” che non esistono in città come Roma, Parigi o New York dove la vita scorre accelerata come su un tapis roulant», ha dichiarato all’AdnKronos. «Conosco tanta di quella gente che mi sento a mio agio – ha raccontato a Marina Valensise sul Foglio –. Sono cresciuto nel Bronx. Se ti confronti con persone che la legge definisce criminali, e riesci a dare loro un’identità, capisci che spesso c’è dietro una storia molto più complicata. Io parto dal punto di vista che bisogna avvicinare delle persone. Quando leggo i giornali, vedo che si parla dei migranti come di un gruppo, una categoria, solo in termini statistici. E invece nel momento in cui riusciamo a scoprire una persona, anziché un’idea, troviamo sempre più compassione e questo aiuta ad andare avanti».

Jonas Carpignano

Ora, dopo il secondo passaggio consecutivo a Cannes, “Mediterranea” sarà proiettato venerdì 11 settembre a Venezia come finalista del premio Lux 2015 voluto dal parlamento europeo e giunto alla IX edizione: tra ottobre e dicembre, “Mediterranea” e gli altri due film selezionati (“Mustang” di Deniz Gamze Ergüve e “Urok” di Kristina Grozeva e Petar Valchanov) attraverseranno tutta l’Europa, sottotitolati nelle 24 lingue ufficiali dell’Ue e proiettati in oltre 50 città e 20 festival di 28 Stati membri. L’idea è porre «le basi per la creazione di uno spazio pubblico europeo tramite un cinema in grado di mostrare la complessità dell’identità europea, e che tenta nel contempo di interpretare e rappresentare la realtà dei successi e delle sfide europee». In autunno i 751 membri del Parlamento europeo saranno invitati a nominare il film vincitore che sarà annunciato il 25 novembre a Strasburgo, alla presenza dei registi dei 3 film finalisti. È così che la settima arte abbatte le distanze e crea legami che abbattono frontiere e ostacoli.

E non è la prima volta che un giovane autore con radici al Sud Italia rilegga con i linguaggi del documentario o del docu-film i movimenti migratori di ieri e di oggi, compresi quelli in cui a espatriare eravamo noi italiani: un’operazione in questo senso era stata condotta qualche anno fa dall’attrice e regista Lucia Grillo – originaria di Francavilla Angitola e figlia della Calabria felix compresa proprio tra la costa vibonese che declina verso il Reggino di Gioia – con “A pena do pana” (“Il prezzo del pane”, con Vincent Schiavelli, anche lui figlio di calabresi oriundi, di cui ricorre il decennale dalla morte) e “Terra sogna terra”, viaggio nel microcosmo degli orti calabresi a New York.

Siamo nel cuore del Tirreno calabrese che stupisce, dall’ospitalità diffusa dei piccoli borghi dell’interno

[http://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/2015/08/27/albergo-diffuso-salva-un-antico-borgo-diroccato-in-calabria_54819912-af1a-4052-8ad6-de69d9d0ebf8.html] alle enclave di creatività che si sperimentano sulla costa in alternativa al divertimentificio da turismo di massa: la terza edizione del Festival della Guarimba ad Amantea, altro esempio di contaminazione a base di cinema, e la rete venutasi a creare con una serie di eventi come il Cleto Festival [http://www.cletofestival.com/home.html] raccontano un turismo culturale che va in profondità.

Un network nel quale presto potrebbe aggiungersi, un po’ più a Sud, ancora più a Sud, un laboratorio proprio nella Piana di Gioia, sulla scia di quello del Sundance Festival fondato negli States da Robert Redford nel 1981 e che vanta alunni come Wes Anderson e Quentin Tarantino. Carpignano ha vissuto l’esperienza formativa del Sundance, oltre ad aver presentato “A Chjàna” in quella che resta la più prestigiosa rassegna americana sul cinema indipendente. Adesso coltiva il sogno di replicarla, quell’esperienza, nella terra del caporalato e delle ‘ndrine. Che è anche accoglienza e creatività.


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