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Prete intascò tre milioni di euro destinati agli immigrati, la cassazione lo assolve. “Il reato c’è, ma è un altro”
09 Ott 2013 09:24

Don Cesare Lodeserto – condannato a 4 anni per peculato dalla Corte di Appello di Lecce nel 2011 – è stato assolto dalla Cassazione, come avvenne in primo grado nel 2006, perché secondo i supremi giudici non sussiste tale accusa dal momento che, sebbene si sia appropriato di fondi pubblici destinati al Cpt di cui era direttore (più di 7mld di vecchie lire), non c’era alcun obbligo di rendicontazione nella convenzione sottoscritta tra Prefettura e Arcidiocesi.

Per questo, a proposito dei complessivi 11mld e 692mln di lire dati dallo Stato all’Arcidiocesi leccese dal 1997 al 1999 per sovvenzionare il centro di accoglienza per immigrati di San Foca di Melendugno, diretto da Lodeserto, la Cassazione rileva che, semmai, come già suggerito dal Tribunale, il rinvio a giudizio doveva essere fatto per l’accusa di appropriazione indebita aggravata ai danni dell’ente ecclesiastico. Perché convenzioni del genere – spiega la Suprema Corte – sono da considerare come dei contratti per la fornitura di un servizio che non implicano “un sindacato sulla gestione delle somme”, ma solo delle penali nel caso di “inottemperanza alle obbligazioni assunte”.

Le somme versate dalla Prefettura – ricorda la Cassazione quanto accertato dal Tribunale – “costituivano il corrispettivo di prestazioni già rese, come attestato dal metodo di pagamento concordato, consistente nella predeterminazione, secondo un parametro mobile collegato al numero delle presenze, di una retta fissa giornaliera per ogni straniero ospitato presso la struttura”.

Nelle clausole del contratto, peraltro, non figurava nemmeno “l’obbligo di restituzione dell’avanzo di gestione”. Nel corso degli anni, Lodeserto “si era appropriato mediante fittizie operazioni contabili di 3mld e 929mln versati su di un conto bancario personale e di altri 3mld e 136mln in parte trasferiti su altri conti a lui intestati e nel resto corrisposte a vari soggetti, o destinati a consumi personali”.

In conclusione, la sentenza 41579 della Cassazione depositata oggi e relativa all’udienza svoltasi lo scorso 5 giugno, osserva che “come ben aveva ritenuto il Tribunale di Lecce a conclusione del processo di primo grado (13 marzo 2006), il denaro era entrato nel patrimonio della Curia arcivescovile di Lecce che, a mezzo dei suoi esponenti a ciò incaricati, tra cui certamente il Lodeserto, poteva disporne senza rendere più conto all’amministrazione pubblica”.

Quindi l’accusa di peculato “non sussiste”, afferma il verdetto scritto dal consigliere Franco Ippolito. La ‘gestione’ Lodeserto, anche per quanto riguarda un centro di accoglienza in Moldavia, ha suscitato interpellanze parlamentari.


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