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I fiumi avvelenati della regione dei Parchi
08 Lug 2013 15:59

Anche sullo stato dei fiumi, l’Abruzzo si allontana dall’Europa.

La Direttiva 2000/60 “Acque” ha stabilito che i Paesi membri debbano raggiungere entro il 2015 l’obiettivo dello stato di qualità “buono” per tutti i corsi d’acqua.

In Abruzzo questo obiettivo si allontana sempre più, visto che il trend della qualità dei corsi d’acqua regionale è nettamente negativo: è quanto emerge da un lavoro di analisi condotto dal WWF e recentemente pubblicato sul “Dossier fiumi 2013: in Abruzzo sempre peggio”.

Il dossier è basato sui dati recentemente resi disponibili dall’Agenzia Regionale Tutela Ambientale che fanno riferimento alla campagna di monitoraggio condotta nel 2011. L’ARTA monitora dal 2004 oltre 100 stazioni lungo i corsi d’acqua regionali. I tratti fluviali vengono divisi in 5 classi di qualità: pessimo, scadente, sufficiente, buono ed elevato. Ormai il 68% delle stazioni di campionamento si trova nelle classi pessimo, scadente o sufficiente.

Rispetto al 2009, prendendo in esame le 88 stazioni campionate in entrambi gli anni, il 38% è stato declassato mentre solo il 4% ha visto migliorare la categoria di qualità, in palese contrasto con le norme comunitarie che impongono almeno di non peggiorare la situazione.

Nel 2011 l’Abruzzo ha visto aumentare in modo vertiginoso i tratti di fiumi classificati nella categoria peggiore sulle 5 possibili. Ben il 10% (12 su 118) delle stazioni monitorate nel 2011 è risultato nella classe “pessimo”. Nel 2009 erano 3 e nel 2008 solo 1.

Le 12 stazioni classificate come “pessime” riguardano 9 corsi d’acqua: in Provincia di Teramo il Calvano, il Cerrano, il Piomba e il Vibrata (due stazioni); in provincia di Chieti il Feltrino (due stazioni) e l’Arielli; in provincia di L’Aquila il Turano (due stazioni), l’Imele ed il Fosso La Raffia.

Tra il 2009 e il 2011 i due principali fiumi abruzzesi, il Sangro e l’Aterno-Pescara, hanno visto peggiorare la loro qualità, il primo da “buono” a “sufficiente” e “scadente” (significativamente il tratto che scorre nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise) ed il secondo da “sufficiente” a “scadente” (tranne una sola stazione nella classe “sufficiente”).

Il dossier del WWF evidenzia come questa situazione colpisca anche tratti di fiumi e torrenti che si trovano in ben 16 aree di elevato valore naturalistico tra cui i grandi parchi della regione e le aree incluse nella Rete Natura2000 (Siti di Interesse Comunitario e Zone di Protezione Speciale).

Al di là del dato ambientale, le criticità riscontrate in aree ad alto valore turistico (Parco d’Abruzzo, costa teramana e costa chietina) sono poi potenzialmente foriere di un gravissimo impatto anche sull’economia regionale. L’Abruzzo, secondo il Rapporto 2013 sulle acque di balneazione del Ministero della Salute, è la regione italiana con maggiori criticità. La stragrande maggioranza delle foci fluviali (Fosso San Lorenzo, Lebba, Sangro, Pescara, Feltrino, Cintioni, Peticcio, Arielli, Foro, Concio, Foggetta, Calvano, Vomano, Tordino, Borsacchio, Salinello, Vallelunga, Feltrino) presenta superamenti per i parametri di legge.

Per una regione che punta sul turismo come volano per lo sviluppo, presentarsi con il proprio mare a rischio balneazione non rappresenta certamente un bel biglietto da visita.

È così sorprende che in tale contesto, la Giunta Regionale nel 2010 abbia varato, senza dibattito e con le fortissime contestazioni dei soli ambientalisti e di pochi comuni, un Piano di Tutela delle Acque dai contenuti del tutto inaccettabili: dal tentativo di rinviare al 2027 il raggiungimento della stato di qualità “buono” per molti fiumi ai molteplici vantaggi riconosciuti ai grandi concessionari dell’idroelettrico a scapito degli interessi dell’ambiente e del comparto turistico.

Altrettanto sorprendente è poi il comportamento degli Uffici del Genio Civile e dell’Autorità di Bacino che continuano a fornire pareri positivi alle richieste di nuove derivazioni e captazioni, anche su fiumi ormai ridotti praticamente al collasso.

Per non parlare poi del comportamento di molti comuni, preposti alla pianificazione urbanistica, che continuano ad ignorare l’effetto dirompente della diffusione capillare di insediamenti abitativi ed aree artigianali/industriali sull’effettiva capacità di erogare i servizi di base come la depurazione.


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