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Lavitola e il braccialetto elettronico che non si trova
25 Mag 2013 10:00

Quando dieci anni fa venne introdotto il braccialetto elettronico per il controllo a distanza dei detenuti agli arresti domiciliari furono in molti a salutare l’evento come un momento decisivo della lotta al crimine. L’aggeggio avrebbe infatti consentito un più efficace controllo dei delinquenti o presunti tali e avrebbe contribuito a svuotare le carceri.

Il fallimento di quella iniziativa appare ora rappresentato plasticamente anche dal viaggio verso casa di Valter Lavitola, finito in carcere nell’aprile 2012 e che ha ottenuto giovedì gli arresti domiciliari. Sì, perché solo ieri sera è stato possibile dare corso alla scarcerazione e ciò a causa di una serie di intoppi: la ricerca nei depositi del Dap (il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) di un braccialetto funzionante, la messa a punto di tutti gli accorgimenti tecnici per consentire il collegamento con le centrali delle forze dell’ordine, oltre ovviamente alle solite procedure burocratiche che sempre si propongono quando un recluso deve lasciare il penitenziario.

Al Dap in mattinata era stata trasmessa anche una sollecitazione di Francesco Cananzi, il giudice che aveva firmato il provvedimento con il quale si permetteva all’ex direttore dell’Avanti di far ritorno a casa purché sorvegliato a distanza.

Lavitola si trova in una situazione paradossale: per la giurisdizione dovrebbe trovarsi già a casa, ma l’adempimento amministrativo non è stato ancora completato”, aveva dichiarato l’avvocato Gateano Balice, legale di Lavitola, prima che si sbloccasse il caso.

Fu lo stesso difensore di Lavitola, nelle scorse settimane, a manifestare al giudice la disponibilità dell’indagato a indossare il braccialetto, una misura che avrebbe consentito di fargli lasciare il carcere e prevenire così quel pericolo di fuga che i magistrati hanno ritenuto sempre concreto alla luce della lunga latitanza trascorsa dal giornalista tra Panama, Brasile e Argentina (i magistrati ritengono, tra l’altro, che all’epoca abbia tagliato la corda dopo una fuga di notizie sull’imminente ordine di arresto). L’applicazione della misura destò sorpresa negli ambienti giudiziari, visto che il sistema appariva ormai di fatto “abrogato” per desuetudine. Lo scorso anno il vicecapo della polizia annunciò sconfortato che erano solo 8 i detenuti ai domiciliari in Italia controllati con il braccialetto. Sembra che all’origine del fallimento del sistema vi siano i tanti casi di cattivo funzionamento, che talvolta costringeva per i falsi allarmi le pattuglie di polizia e carabinieri a percorrere la città a sirene spiegate per inutili controlli.

Nel pomeriggio di ieri, stando alle indiscrezioni raccolte, il braccialetto funzionante è stato reperito, ma si è dovuto provvedere al collegamento elettronico, circostanza che ha fatto slittare l’uscita dal carcere di Secondigliano: solo in serata Lavitola ha potuto raggiungere la casa della moglie, scelta per i domiciliari.

Non prima di essere però passato dai carabinieri della stazione di Ponte Milvio per munirsi dell’agognato braccialetto elettronico.

Il provvedimento era stato disposto nell’ambito dell’inchiesta sui fondi all’editoria , una delle tante vicende giudiziarie in cui è coinvolto l’ex direttore di quello che fu lo storico giornale dei socialisti.

Ma per alcune settimane Lavitola è restato in carcere in base a un’altra ordinanza cautelare, relativa al tentativo di estorsione ai danni di Silvio Berlusconi (per il quale è stato condannato in primi grado a 2 anni e 8 mesi)

Ieri, anche in relazione a quest’ultima vicenda, il Tribunale del Riesame ha concesso i domiciliari all’imputato e pertanto Lavitola avrebbe dovuto entro poche ore, una volta conclusi gli adempimenti burocratici nel carcere di Secondigliano, ritornare nella sua abitazione a Roma.

È cominciato invece solo allora un nuovo caso dai toni tragici e grotteschi.


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