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Marchionne e la disabitudine al “no”. L’affondo della Boldrini che non è piaciuto ai “sepolcri imbiancati”
10 Lug 2013 08:33

La lettera del Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, all’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, ha innescato un dibattito surreale sul tema più reale in questi tempi di crisi: il lavoro. Dibattito che ha un suo antefatto nell’incontro del presidente della Camera dei Deputati con una delegazione della FIOM capeggiata dal segretario nazionale, Maurizio Landini. Durante l’incontro, svoltosi a Montecitorio, tra altri argomenti trattati il sindacalista chiede al presidente l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulle condizioni di vita e di lavoro nelle aziende del gruppo Fiat.

Dopo avere letto le agenzie di stampa sull’argomento e, certo, infastidito, da alcune affermazioni del presidente della Camera dei Deputati («La nostra Carta fondamentale va rispettata sempre. Non è concepibile che la sua attuazione si arresti ai cancelli delle fabbriche. È ovvio che il lavoratore debba poter scegliere liberamente il suo sindacato») l’amministratore delegato della Fiat scrive alla Boldrini.

«Ho avuto modo di leggere del Suo interessamento ai problemi del lavoro in fabbrica sia pure nell’ambito di un incontro con un sindacato che in Fiat ha una rappresentatività molto limitata e non è sottoscrittore di alcun contratto nazionale. Apprezzando molto la Sua attenzione ai temi del lavoro mi farebbe piacere che Lei toccasse con mano la realtà industriale che la Fiat sta ricostruendo in Italia. Desidero quindi invitarla a visitare uno dei nostri impianti più moderni, per esempio quello di Pomigliano, oppure la Maserati di Grugliasco o meglio ancora a partecipare, il prossimo 9 luglio, alla cerimonia nella quale presenteremo i nuovi investimenti per lo stabilimento in Val di Sangro».

La risposta del presidente non si fa attendere. Più lunga e articolata rispetto a quella ricevuta.

«Gentile dott. Marchionne, La ringrazio per la sua cortese lettera del 28 Giugno e per l’invito che mi ha rivolto. Lei ha giustamente notato il mio interessamento ai temi del lavoro, in questa particolare fase di crisi economica. Non si tratta soltanto di sensibilità personale. Ritengo un dovere per chi rappresenta le istituzioni dedicare il massimo impegno al tema del lavoro in tutte le sue declinazioni: la disoccupazione giovanile, la precarietà, la perdita del posto per persone non più giovani e con famiglia. Così come il lavoro da reinventare e ripensare sotto nuove forme e in chiave di innovazione e di produttività.

Cerco, per questa ragione, di sollecitare, per quanto è nelle mie facoltà, l’esame di proposte di legge di iniziativa governativa o parlamentare che si propongono di stimolare e incoraggiare nuova occupazione. E cerco quanto più possibile di incontrare sia le delegazioni di lavoratori che vengono a Roma per far sentire la loro voce al Governo e al Parlamento, sia i piccoli e medi imprenditori che tentano una via di uscita dalla crisi.

Sarebbe grave se in un momento così difficile per le famiglie italiane i Palazzi della politica si chiudessero in se stessi e non si mostrassero aperti a tali istanze. Questi incontri, e i tanti che svolgo nelle città italiane, insieme alle decine di migliaia di lettere e messaggi che ho ricevuto finora, mi danno il senso dello stato di salute della nostra economia e dei suoi numerosi punti di criticità. In particolare emerge la portata del processo di deindustrializzazione che colpisce aree sempre più vaste del nostro Paese. Per ogni fabbrica che chiude e per ogni impresa che trasferisce la produzione all’estero, centinaia di famiglie precipitano nel disagio sociale e il nostro sistema economico diventa più povero e più debole nella competizione internazionale. Siamo consapevoli che bisogna invertire quanto prima questa tendenza e ognuno di noi può fare qualcosa di utile.

La politica, certamente, ma anche il mondo sindacale e quello imprenditoriale. Tutti siamo chiamati a sfide nuove. La mia esperienza di vita e di lavoro mi ha spinto a guardare tutto questo in un’ottica globale e a rendermi conto che non servono soluzioni di corto respiro. Il livello e l’impatto della crisi sono tali da imporre un progetto del tutto nuovo, una politica industriale che consenta una crescita reale, basata su modelli di sviluppo sostenibile tanto a livello economico, quanto sociale e ambientale. Lei concorderà che le vecchie ricette hanno fallito e che ne servono di nuove.

Affinché il nostro Paese possa tornare competitivo è necessario percorrere la via della ricerca, della cultura e dell’innovazione, tanto dei prodotti quanto dei processi. Una via che non è affatto in contraddizione con il dialogo sociale e con costruttive relazioni industriali: non sarà certo nella gara al ribasso sui diritti e sul costo del lavoro che potremo avviare la ripresa. Tutto questo mi porta a guardare con particolare interesse alla condizione e al ruolo della Fiat, sia in Italia sia all’estero, e ascoltare le ragioni di quanti partecipano attivamente a una realtà così importante. Impegni istituzionali già in agenda purtroppo non mi consentono di accogliere l’invito alla cerimonia del 9 Luglio in Val di Sangro. Certa che non mancheranno ulteriori occasioni di confronto, Le invio i più cordiali saluti».

Una dialettica alla quale in Italia non è abituato nessuno, perché in pochi in Italia sono abituati a dire dei noCerto non è abituato a ricevere dei no Sergio Marchionne. Non lo è nelle fabbriche che governa per conto dei suoi padroni, tantomeno è abituato a ricevere dei no dalla classe dirigente e politica di questo Paese. Al contrario questi ultimi sono spesso supini e pronti ad accogliere qualunque richiesta pur di non scontentare “il padrone”.

Non sono stati d’accordo con la Boldrini i giornali e i commentatori di destra, così come non lo sono stati i partiti di destra. In particolare si è alzata forte la voce del capogruppo alla Camera dei Deputati del Pdl che non contento tira nella polemica anche il presidente del Senato.

«Le presidenze delle due Camere sono totalmente dissonanti rispetto al sentimento di una larghissima maggioranza, non solo del Parlamento ma dell’intero Paese. Rischiano di vanificare il cammino difficile ma produttivo che la grande coalizione di Letta e Alfano sta intraprendendo. Non abbiamo bisogno di massimi rappresentanti delle istituzioni che lavorino per disegni organici a minoranze estremiste».

Nel gioco del botta e risposta con il portavoce del presidente della Camera, il capogruppo del Pdl lancia addirittura l’accusa di ideologia anticapitalista, dimenticandosi che insieme a 231 suoi colleghi di partito, non più tardi di qualche mese, votò con il voto elettronico che Ruby era la nipote di Mubarak. Continuano a pontificare senza nessun pudore, con il silenzio assenso di gran parte dei partiti di centro sinistra. Infatti a fronte di alcune, singole, voci che si sono alzate per difendere le parole del presidente della Camera, la maggior parte è stata invece zitta. Eppure le parole della Boldrini dovrebbe essere per una coalizione di centro sinistra come miele per le api.

«Lei concorderà che le vecchie ricette hanno fallito e che ne servono di nuove. Affinché il nostro Paese possa tornare competitivo è necessario percorrere la via della ricerca, della cultura e dell’innovazione, tanto dei prodotti quanto dei processi. Una via che non è affatto in contraddizione con il dialogo sociale e con costruttive relazioni industriali: non sarà certo nella gara al ribasso sui diritti e sul costo del lavoro che potremo avviare la ripresa».

S’ode, soprattutto nella periferia dell’impero forte «il rumore dei nemici». Nemici che non gradiscono chi si schiera per i diritti e la salute dei lavoratori. Un rumore che da fastidio soprattutto quando proviene dal mondo della sinistra.
Scrive Marco nel Vangelo «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti! Perché rassomigliate a sepolcri imbiancati, i quali di fuori appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putredine».

Mai definizione fu più appropriata. Parolai del nulla e ipocriti, sepolcri imbiancati appunto.


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