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Onore al merito a chi rimane al Sud. E l’emigrazione si è trasformata in globalizzazione
07 Mar 2014 07:22

La sostituzione dei velieri con i piroscafi, rende praticabile l’emigrazione verso le Americhe. In tutta l’Europa si inizia a partire verso le “terre promesse”, cioè pezzi di demanio di Argentina, Brasile, Uruguay, ceduti ad agricoltori vogliosi.

Il Sud dell’Italia, non poteva sottrarsi a tale opportunità. E quando la famiglia che inaugura il capitalismo italiano, i Florio di Palermo, organizza una compagnia di navigazione degna di tal nome, si va.

E’ il 1880, l’Unità si è realizzata da poco e dal Piemonte, Veneto e Friuli, i primi contadini varcano l’Oceano.

Il Sud è un po’ in ritardo, ma gradatamente esso innesca un gigantesco fenomeno che porterà, in alcuni decenni, milioni di uomini donne e bambini, nelle predette nazioni e negli Stati Uniti, dove si era in cerca di manodopera a basso costo.

Nel dopo guerra, quando l’Europa esce dalle ceneri del conflitto, ed inizia l’industrializzazione, le partenze dal Sud si orientano, oltre alle affezionate Americhe, verso la Francia e la Germania e le regioni economicamente più avanzate della nostra penisola.

In questi settant’anni di emigrazione, i più sono partiti per sottrarsi alla miseria, ma c’è chi è andato via dalla sua terra, per migliorare il proprio tenore di vita e chi per avventura.

Il secondo boom economico della nostra nazione, seguente quello del 1963, ovvero i “fantastici anni ‘80”, costruiti essenzialmente sul debito pubblico, ha estinto il fenomeno migratorio.

Ma il conto dell’accelerazione dello sperpero, arriva dopo qualche decennio e si assomma alla congiuntura internazionale. L’economia arranca, barcolla, poi s’incrina e al Sud si comincia a ripensare di andar via. Ma il mondo e’ cambiato, non c’è più l’emigrazione, ma la globalizzazione.

Le mete non sono canoniche, ma qualunque posto del pianeta dove si può vivere più degnamente. Ai Florio e ai loro piroscafi,  si è sostituita Ryanair e consimili, con partenze low cost. Si va in posti in crescita economica, oppure in luoghi dove un’attività particolare, può rendere redditività. Non è un fenomeno organizzato, ma frutto di casualità, intuizioni, spirito d’intrapresa, a volte sopravvalutazione di circostanze, con una sottintesa voglia di cambiare la propria esistenza.

Premesso dunque che partire è diventato più ordinario e che il concetto di migrazione e’ stato frantumato da quello di globalizzazione, rimanere al Sud può essere considerata una scelta consapevole.

Onore al merito. Il Sud è diventato meno “espulsivo”, c’è ormai distinzione tra povertà e sopravvivenza. Chi rimane conosce per tratti il suo cursus vitae. L’ignoranza cui fece freno la legge Coppino e poi la Riforma Gentile, sopravvive nelle nostre contrade. Ma vive di stenti.

E’ finita l’era dei colonizzatori militari, economici, culturali. Il Sud è rimasto con se stesso, sotto forma di scommessa, speranza e potenzialità. Esso fa parte del mondo. E il mondo contemporaneo ha troppi problemi per aderire ad archetipi di marginalizzazione. Siamo noi a doverlo inseguire. Ma inseguirlo non vuol dire partire. Il concetto trainante e’ l’integrazione. Dobbiamo integrarci, senza perdere la nostra cultura, ma trovando punti di contatto per fare entrare il mondo nel nostro mondo.

E per fare ciò, è ora di stemperare, fino ad estinguere, un tic che è frutto della nostra storia e che fa molti danni: la diffidenza. Abbiamo sviluppato tale caratteristica, nei secoli, per difenderci. Ora è il momento di abbassare la guardia, sempre di più.


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