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Se un’ala della #ReggiadiCaserta diventasse un #albergo. Come a #Versailles
22 Set 2015 08:28

Il turismo a Napoli, al Sud.

Globalizzazione, personalizzazione e Rete.

Non sono un addetto ai lavori ma negli ultimi quindici anni di professione, da giornalista prima e da comunicatore poi, ho conosciuto bene il settore ed oggi come Segretario generale di Competere.Eu un think tank in prima linea per il rilancio economico del Paese provo a dare il mio contributo al dibattito.

Un contributo a riflettere dal mio angolo visuale su alcuni degli spunti offerti da una società in evoluzione per una possibile ulteriore modernizzazione del comparto.
Proviamo a intenderci per parole chiave.

Una, arcisfruttata, è Globalizzazione. Come si declina globalizzazione in termini di domanda turistica?
Oggi un consumatore globale, che non ha il percepito che può avere un europeo dei nostri centri storici e dei nostri borghi, può scegliere, a ragione, di fare una vacanza di una settimana in un resort 7 stelle di Dubai o di Santo Domingo.
Ed il paradosso è che il consumatore in un’esperienza del genere trova riproposizioni delle città di mare europee, servizi altamente qualificati, pulizia.

Soprattutto, può spendere meno che stando in un hotel a tre stelle europeo.
Si tratta della stessa tipologia di consumatore che sceglie di spendere una somma consistente per andare, spesso anche ogni anno, in parchi tematici come EuroDisney.

Possiamo dire che sono riproposizioni che scimmiottano male le bellezze del nostro territorio ma dobbiamo anche ammettere che i servizi connessi funzionano veramente bene…
Alcuni mesi fa ero per lavoro a Dubai al Madinath Jumeirah, uno dei più bei resort nati negli ultimi vent’anni e parlando con un importante manager indiano che era lì in vacanza, ho ascoltato una cosa che mi ha fatto riflettere:

”Oggi un indiano, un arabo o un cinese, pur apprezzando la storia e le bellezze italiane, non giustifica i disservizi del territorio che lo ospita. Dovendo scegliere dove spendere i propri soldi, preferisce andare in un luogo, magari costruito artificialmente, ma dove tutto funziona”.

Di sicuro il nostro albergo, per estetica, gusto, elevata professionalità, si farebbe teoricamente preferire alla struttura asettica e astorica di Dubai.
Il problema è che il turista globale non si accontenta, e non si accontenterà ancor di più nel futuro, del luogo che lo ospita logisticamente inteso, né di panorami incomparabili o di ricchissime preesistenze storico culturali.

Vuole comfort e servizi.
Ed in parte la pensano così quegli italiani che vanno al mare in Spagna o in Egitto..

Gli italiani non possono più soltanto vantarsi di avere questo fantomatico petrolio rappresentato dal turismo, ma devono sforzarsi per estrarlo e raffinarlo.
E bisogna farlo essendo coscienti che operiamo in un mercato globale.

Qui c’è la seconda parola, anche questa di utilizzo generale, che però per il turismo può avere delle connotazioni particolari, ed è Personalizzazione.
I consumatori sono cambiati nel mondo del turismo come in quello della moda ed è interessante uno studio di Saatchi & Saatchi in cui si evidenzia come il consumo d’élite si sia democratizzato.

Oggi un consumatore può avere un pantalone di Zara, un orologio di un brand del fast fashion, una camicia sartoriale, un Fay o un Monclear e un pc da 250 euro.
In che categoria lo classificheremmo?
Questo stesso consumatore, come turista, decide i suoi consumi così come effettua le sue scelte per l’abbigliamento.

Se deve utilizzare una struttura per starci con la famiglia, probabilmente la sceglierà confortevole, mentre se dovrà solo dormirci e starci per lavoro opterà per soluzioni più spartane ma comunque sicure in termini di qualità ambientale.

Ed è quello che hanno ben compreso i francesi di Accor con offerte diverse tra loro come quelle di due brand del gruppo quali Sofitel ed Ibis.
Possiamo dire che questo tipo di approccio, oggi, in Italia e nel Sud in particolare, è stato metabolizzato dal nostro sistema turistico ricettivo?
Avrei forti dubbi, soprattutto se prescindiamo da virtuose eccezioni.

La terza e ultima parola chiave è Rete.
In Italia abbiamo bisogno di una strategia chiara a supporto del turismo.

Una strategia che vada ben al di là dei tempi della politica e delle campagne elettorali.
Una strategia che possa fungere da strumento concreto alla creazione di un’offerta in grado di intercettare e, dove occorra, creare la domanda.

Fino a pochi anni fa creare una rete e sinergie virtuose tra imprese ed attori istituzionali significava dare un valore aggiunto maggiore ai progetti: oggi invece è una scelta obbligata perché i nostri competitor internazionali hanno un’offerta molto meno polverizzata della nostra ed un’interazione con le istituzioni molto più efficace.

Ed allora ripensiamo tutti i paradigmi,abbattiamo i dogmi se vogliamo che i privati entrino nella gestione dei beni culturali che oggi il pubblico non è più in grado di gestire e manutenere.
Nei limiti della tutela e della salvaguardia del bene storico, artistico e culturale, privatizziamone la gestione!

O, quantomeno, introduciamo elementi di gestione privatistici concreti e non solo enunciati come slogan che mascherino il nulla.

Ed allora una provocazione.
Pensiamo ai Palazzi Reali che la nostra grande storia ci ha regalato.
Perché è un’eresia immaginare che una parte della Reggia di Caserta o di quella di Portici diventi un hotel e che l’azienda che lo gestisce curi la manutenzione di quello spazio e delle aree comuni?

Come avverrà nella Reggia di Versailles a Parigi, che in un’ala del palazzo ospiterà un hotel di lusso.

Parlo ad esempio di quegli spazi utilizzati dagli uffici dell’Aeronautica Militare o della Sovrintendenza per Caserta.
C’è bisogno di innovazione e di confronto con le esperienze internazionali.

Al di là del merito delle scelte, quanto meno per questo versante, mi sembra un segnale nuovo quello dato dal Ministro Franceschini con la nomina di esperti internazionali alla guida di alcune delle più importanti strutture museali italiane.

Una considerazione finale da comunicatore.
Non sono un esperto di turismo, ma ho la fortuna di aver lavorato con alcune delle migliori realtà del settore a livello internazionale.
Le nostre imprese devono apprendere dai grandi player del settore come “pensare” l’offerta in funzione delle strategie di comunicazione.
Le strategie di comunicazione nel turismo, come per ogni attività imprenditoriale, per essere efficaci devono essere concepite a monte e non a valle dei processi decisionali.

Solo in questo modo si potrà spendere meglio il budget per la comunicazione ed ottenere risultati all’altezza delle sfide che ci stiamo prefiggendo.

In bocca a lupo a tutti noi.


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