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Solo la #formazione può fermare la #disoccupazione causata dall’automazione dell’industria
28 Mag 2015 06:22

Negli scorsi giorni abbiamo ricevuto notizie apparentemente contrastanti sulla situazione e sulle prospettive dell’economia italiana. Il crollo del prezzo del petrolio, la svalutazione dell’Euro, la massiccia iniezione di moneta da parte della Banca Centrale Europea e l’attesa per gli effetti delle nuove leggi sul lavoro hanno prodotto un provvidenziale miglioramento del livello di fiducia delle famiglie e delle imprese.

Le previsioni di crescita dell’Italia sono state perciò riviste al rialzo, passando dallo 0,3% dell’inizio dell’anno a livelli che stanno oggi fra lo 0,5 e l’1%. Si tratta sempre di previsioni inferiori a quelle della zona Euro (che si stima crescere dell’1,4%) ma si è finalmente usciti dal segno meno in cui eravamo stati confinati nei lunghi anni della crisi.  L’aumento dei contratti a tempo indeterminato, anche se molta parte di questi deriva da una trasformazione di contratti a tempo determinato e co.co.co, trasmetteva il messaggio di un parallelo miglioramento del mercato del lavoro.

Pochi giorni dopo queste buone notizie è arrivato, come una doccia gelata, il dato sull’aumento della disoccupazione, salita in febbraio al 12,7%, con una riduzione di 44 mila occupati ed una disoccupazione giovanile che tocca l’incredibile livello del 42,6%. A questo si aggiunge una crescita del tasso di inattività, come segnale del fatto che, tra i 14 milioni di inattivi, aumentano le persone scoraggiate o deluse che non cercano più un posto di lavoro.

Tutto questo mentre, nella media europea, la disoccupazione scende al di sotto del 10%.

Un’analisi più accurata della nostra economia ci offre tuttavia una credibile spiegazione di queste apparenti contraddizioni.

In primo luogo bisogna osservare che la ripresa dell’economia non solo è ancora molto timida ma che arriva dopo anni di calo della produzione, in una situazione nella quale le imprese non utilizzano in pieno la mano d’opera esistente. Esse quindi, nella maggioranza dei casi, possono aumentare anche di molto la produzione senza assumere nuovi addetti.

In secondo luogo la richiesta di nuova mano d’opera si concentra nelle imprese con un’elevata propensione all’esportazione che, in molti casi, hanno difficoltà a trovare nel mercato del lavoro le specializzazioni di cui hanno bisogno. Anche in presenza dei dati terrificanti sulla disoccupazione è oggi difficile trovare gli addetti capaci di fare funzionare le moderne macchine utensili e gli specialisti nel controllo della qualità, nella manutenzione, nella digitalizzazione e anche personale preparato per affrontare i nuovi mercati, spesso lontani e con caratteristiche diverse da quelli tradizionali.

Emerge cioè evidente la disfunzione tra il nostro sistema scolastico e le necessità del sistema produttivo.

Quando si era prospettata la riforma dell’Università si era pensato che il diploma triennale dovesse, almeno in parte, venire incontro alle necessità di specializzazione del nuovo mercato del lavoro ma questo progetto è stato poi distorto da improvvide misure legislative e dalle resistenze accademiche. I corsi triennali, esclusa la parziale eccezione del settore sanitario, sono quindi diventati semplicemente preparatori alla laurea magistrale. Il risultato è che manca la mano d’opera qualificata per le imprese e i nostri laureati sono obbligati ad emigrare.

Come ultimo punto bisogna osservare che la rivoluzione digitale, mentre apre le porte ad una limitata quantità di specialisti, le chiude ad un enorme numero di lavoratori non specializzati. Questo processo di trasformazione non opera soltanto nei settori direttamente produttivi ma anche nel terziario, dove non solo stanno scomparendo a decine di migliaia le segretarie ma dove, anche compiti che in precedenza erano ritenuti impossibili da essere automatizzati, sono ora eseguiti da modelli standardizzati che non richiedono manodopera. Entrano in questa trasformazione radicale non solo gli studi legali, i commercialisti, gli addetti alla contabilità ma anche un crescente numero di operatori del settore bancario e finanziario. Persino le analisi finanziarie più raffinate sono oggi preparate dai computer.

L’espulsione di manodopera causata dall’automazione dell’industria non viene quindi compensata, come in passato, dall’espansione dei servizi che, anzi, hanno cominciato un parallelo processo di diminuzione del personale.

Solo i servizi alla persona contribuiscono in modo diretto e positivo all’occupazione ma, molti di questi servizi, a partire dalla sanità e dall’insegnamento, trovano limiti invalicabili nella ristrettezza dei bilanci pubblici e privati. Anche questi due settori cominciano inoltre a fare i conti con tecnologie che rallentano l’assunzione di nuovi addetti: si pensi all’informatizzazione in sanità e al progresso dell’insegnamento a distanza.

Una rapida possibilità di assunzione di manodopera è certamente legata all’espansione dell’edilizia, ma il numero di abitazioni costruite nel passato e ancora invendute è  tale per cui, anche in questo caso, deve passare un lungo periodo di tempo fra la ripresa della domanda e l’impiego di nuovi addetti.
La lotta contro la disoccupazione esige quindi prima di tutto una robusta ripresa dell’economia, in secondo luogo una preparazione scolastica mirata e, in terzo luogo, un incessante processo di aggiornamento della mano d’opera, includendovi una migliore conoscenza delle tecniche digitali.

Solo a queste condizioni la necessaria trasformazione in corso nel mercato del lavoro potrà dare i frutti che tutti noi ci attendiamo dalla faticosa uscita da una crisi che ancora sembra senza fine.


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