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La nascita dei desideri liquidi. Storia di un amore Cultura e dintorni
24 Nov 2016 19:29

Ricordi. Morbidezza. Liquidità. In una Venezia più ricordata che vissuta, sognata più che osservata, Anne volontariamente allenta ogni difesa e apre la coscienza al dolore: che la prenda, la impregni, forse la stordisca; ma alla fine l’attraversi e l’abbandoni, viva. Si potrebbe pensare che il lutto per la morte dell’amato e splendido marito sia il punto di partenza, e la musica, a cui Anne ha deciso di riaccostarsi tornando a dare concerti, il punto d’arrivo. Non è così. La musica è ovunque, in questa storia. La musica che ci crea un passato che ignoravamo e ci ricolma di quelle tristezze che furono sottratte alle nostre lacrime, come scrisse Marguerite Yourcenar.

La musica che esiste anche laddove non ci sia più nulla, nel silenzio, nell’assenza, e che facilita il pensiero dell’immortalità, come scrive Laura Venezia. Impossibile evitare un accostamento tra amore e musica, amato e suono. Anne-Laura lo fa, e per quanto angoscioso è un accostamento preciso, di una lucidità quasi insopportabile: «al contrario della musica, che può solo evocare sensazioni indefinite, la tua voce incideva la realtà per definirla», cosa tanto stupefacente perché mentre «amare la musica significa amare il tempo», invece «l’amore non tiene conto del tempo, non conosce le sue leggi, non invoca mai il suo aiuto».

Paragoni che scivolano in assonanze, aprono la strada a inesauribili rimandi, parentesi, analogie e infine dissonanze, per ricomprendere tutto in una liquidità che è l’unica cosa che davvero può avvicinarci alla forma in cui si dispiega la vita: «se la rigidità corrisponde alla morte, allora ciò che è morbido – o meglio ancora ciò che è liquido – è vita». Le contraddizioni sono ad ogni passo, esattamente come deve essere. Perché se una cosa è vera non necessariamente il suo contrario non lo è, e proprio su questa circolarità capace di non arretrare di fronte alle antilogie si sviluppa il libro, scommessa incauta ma vinta di raccontare pensieri e sensazioni quanto più possibile nel loro flusso naturale, spregiando il facile effetto, ignorando la seduzione di una trama, di una narrazione a tesi.

Il lettore non sa, all’inizio, chi sia e cosa sia successo ad Anne, ma subito capisce che quello che lei ha deciso avverrà, ma se sarà importante per lei, non lo sarà per chi, dall’esterno, è chiamato ad ascoltarla e seguirne un tratto di esistenza, mai troppo lontano e mai troppo in empatia, perché la confessione della non volontà di confessione – «a svelare ogni cosa di sé si va incontro a una specie di dissipazione del cuore, ci si indebolisce» – esplicita a parole ciò che era già molto evidente dalle prime righe: Anne-Laura non vuole ghermire col suo dolore, ma proporsi con le sue digressioni emotive che hanno l’andatura imprevedibile di un ballerino ubriaco, o forse in trance, capace per questo di infrangere ogni regola per corteggiare quello di cui non si può parlare, a cui si può solo alludere. E quanto ci stimolano, queste digressioni emotive.

Non c’è territorio in cui il lettore non venga accompagnato, con estrema delicatezza. La solitudine, la gratitudine, i rimpianti. La memoria, Dio, la bellezza, l’appartenenza. Con riflessioni che ne portano a mille altre, squarci improvvisi di luce abbagliante in una narrazione a toni sfumati che proprio per questo spinge anche lui ad abbassare le difese e porsi in uno stato di rilassato ascolto, perfetto per rendere la percezione più acuta, vivida, affilata. Accompagnando i vagabondaggi della mente e del cuore di Anne ci si ritrova addirittura a intuire verità della fisica quantistica, della fisiologia: «nessuno potrebbe affermare con certezza che ciò che avviene nel mondo della mente, nel segreto racchiuso nel cuore di un cristallo, non abbia le stesse, fatali conseguenze di una vicenda reale». Così come il quadro di Dalì, il cui nome La nascita dei desideri liquidi dà il titolo al libro, è tanto un canto di morte quanto un inno erotico, il testo di Laura Venezia parla di morte raccontando la vita, esaltandola nella sua incomprensibile complessità di cui riusciamo ad afferrare il senso solo a tratti, quando in assoluta umiltà accettiamo di abbandonare la logica razionale che guida le nostre azioni. E non si commetta l’errore di credere che la delicatezza e la liquidità che caratterizzano questo libro lo rendano esangue e privo di energia.

Al contrario: siamo di fronte a un romanzo pieno di energia. Non di vigore, attenzione. Validissima qui la distinzione di Derek Walcott: il vigore può essere l’immaginazione che solleva pesi, l’energia invece li fa levitare. Laura Venezia chiede al lettore di affinare l’orecchio, aprire il cuore. È l’unico modo per individuare le sue impronte leggere, deliberatamente transitorie, che ci aiuteranno a seguirla nel suo viaggio. Levitando.


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