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A noi che hanno rubato tutto!
13 Mar 2016 08:25

Avevo una compagna d’infanzia, cui ci univa un rapporto speciale. Dopo diciott’anni non ci c’eravamo innamorati. Ma lei aveva il potere di rassicurarmi, io invece ero la fonte inesauribile di nuove emozioni, di cose da fare e da esplorare.

Un giorno la condussi con me nell’archivio parrocchiale. Senza una meta culturale precisa. Per la serie: vediamo cosa troviamo. E dovetti vincere la resistenza del parroco, che voleva che i miei genitori firmassero un’assunzione di responsabilità per qualunque foglio toccassi. Ne apprezzai la sua ferrea difesa dei documenti, poi capii che nemmeno si rendeva conto delle preziosità che custodiva nella sua curia.

Gli sfilavo sotto gli occhi delle vecchie mappe del paese, descrizioni di messi vescovili, due bolle papali con tanto di ceralacca. Ma quello non capiva nulla. E non gli interessava nulla. Incredibile ma vero.

Trovai una planimetria di un edificio che non esisteva più, una sorta di seminario. Scorsi su un armadio due casse che contenevano carte. Sopra ognuno di tali contenitori era scritto 1450. Ma non chiesi di poterli consultare.

Andai avanti con l’ispezione di un vecchio armadio. Trovai un resoconto di un ispettore pontificio, che lamentava in un italiano arcaico che la moglie del custode dell’ospedale aveva offuscato i muri, per via dell’abitudine di arrostire cacciagione all’interno del luogo. Cosa curiosa è che il custode recava il cognome della mia amica. Era un documento del 1795. Che fosse un suo antenato?

E mentre eravamo intenti a visionare carte, mi accorsi che in fondo alla stanza, sedeva un uomo curvo su un libro. Aveva in  mano una matita. E con essa scorreva le righe delle pagine di un vecchio libro mastodontico.

Non l’avevo mai visto, non era del paese. E si muoveva tra quei libri con grande dimestichezza.

Io e la mia amica riponemmo tutto ciò che avevamo consultato , con cura, al loro posto. Per tale gesto il parroco fu tanto contento. Uscimmo dalla chiesa con la sensazione di chi aveva viaggiato nelle epoche.

“Antonia, mi sono fatto l’idea che questi qui (ed indicai la gente che era in una piazza attigua), non hanno capito niente del nostro e loro paese. Lo vivono, ma con inconsapevolezza della nostra storia”

“Io sono rimasta sconvolta da quelle carte. Secoli di storia sepolta. E rimarranno tali.”

“Vorrei fare qualcosa per riportarli a galla, ma non so come fare. Da dove partire.”

“E poi, quel tizio chi era?”

“Finirà che la storia del nostro paese servirà come frammento per costruire la storia più importante. Quel tizio mi sembrava un ricercatore, o qualcosa del genere.”

“Possibile che ci deve passare tutto sulle nostre teste e alla fine non partecipiamo a niente. Possibile che il nostro paese deve sempre rimanere ai margini di tutto?”

“Ma da cosa dipende?”

“Dal totale disinteresse per la cultura. Nei borghi del Sud, negli anni ’60, è arrivata l’attenzione per la laurea, ma non per la cultura. La laurea è vista come riscatto sociale e come mezzo per guadagnare denaro. E tutto finisce qui.”

Mentre parlavamo vedemmo sfilarci il signore incontrato in archivio.

“Scusi, le posso chiedere cosa cercava tra quelle carte?”

“Un riscontro dei deceduti in un anno in cui ci fu la peste.”

“Le posso chiedere la sua qualifica?”

“Sono un docente di storia dell’università. Buone cose.”

“Te l’avevo detto, Antonia, noi dei borghi del Sud siamo solo i frammenti della storia. Lo siamo stati e continuiamo ad esserlo.”

“E certo…..guarda quelli con che accanimento giocano a carte!”

Stavamo salendo per il viottolo del Toppo di Fra’ Diavolo in cerca di monete antiche e di pezzi d’anfora in un luogo che era stato cinque secoli prima, accampamento di uno scontro armato proverbiale.

“Mi piacerebbe fare una scoperta. Una bella scoperta.”

“Anche a me. Speriamo di non trovare il professore!”


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