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Alessio Praticò, reduce dalla serie tv “Solo”
05 Dic 2016 08:25

Avevamo lasciato Alessio Praticò al film Lea di Marco Tullio Giordana. Ora lo ritroviamo per parlare di una fiction appena terminata, Solo di Canale5 al fianco di Marco Bocci.

Interpreta Santo, uomo di fiducia della famiglia di ‘ndrangheta intorno a cui ruota la storia. Anche in questa nuova avventura appena conclusa, abbiamo ritrovato un bravissimo giovane attore.

Ti abbiamo visto tra i protagonisti di “Solo”, la fiction di Canale 5. Perché hai accettato di far parte di questo progetto?

In realtà non sono ancora arrivato al punto di potermi permettere di scegliere io stesso se partecipare o meno ad un film o ad una fiction. Per ora accade il contrario: vengo contattato per sostenere un provino e sono i registi a scegliere me. Con “Solo” è accaduta esattamente la stessa cosa e devo dire che ne sono contento, anche perché l’esperienza si è rivelata una grande occasione di crescita, oltre che un’opportunità lavorativa importante per la mia carriera.

Posso chiederti perché proprio “Solo” come titolo per la fiction?

“Solo” è il nome in codice di Marco Pagani, agente del Servizio Centrale Operativo della Polizia (SCO) impegnato in un’operazione per agganciare il clan di una potente famiglia della ‘ndrangheta. Credo però che il titolo sia stato scelto per il suo duplice significato: la parola “solo” infatti, vuole evidenziare la condizione di chi, avendo un incarico da infiltrato, si ritrova da “solo” appunto, dentro e contro il crimine.

Ci racconti del tuo personaggio?

Il mio personaggio, Santo Ionico, è uno degli uomini di fiducia della famiglia Corona. Cresciuto all’interno di un contesto malavitoso (anche il padre è uomo fidato della stessa famiglia), ne ha assorbito principi e modus vivendi. L’arrivo improvviso di Marco Pagani (Marco Bocci) all’interno del clan, non solo lo insospettisce, ma genera in lui forti gelosie rispetto all’ambizione di poter diventare un giorno il braccio destro di Bruno Corona (Peppino Mazzotta), figlio del boss e prossimo al comando.

Come ti sei preparato per questo ruolo?

Mi sono un po’ ispirato a tutti quei ragazzi – facilmente riconoscibili all’occhio tristemente esperto di noi calabresi – che aspirano al modello mafioso come unica garanzia di sicurezza e rispetto, confondendoli con paura e abuso di potere. Per il resto ho seguito le indicazioni di Michele Alhaique, il regista della serie.

Anche in questa serie tv si parla di criminalità organizzata. Cos’è per te la ’ndrangheta?

Per me, è un sistema di criminalità organizzata appunto, che affonda le sue radici in una mentalità ristretta, che pone al primo posto potere e facili guadagni, a discapito del bene comune.

Come la si può combattere secondo te?

Secondo me, la si può combattere attraverso la diffusione della Cultura, accanto al già prezioso lavoro e agli sforzi della Magistratura e delle Forze dell’Ordine. Bisogna partire dalle nuove generazioni, combattere in primis l’atteggiamento mafioso di chi non rispetta le regole, dei clientelismi e dei giochi di potere. I giovani devono sapere, devono conoscere, devono imparare a discernere tra “bene” e “male”. La ‘ndrangheta si alimenta di persone ignoranti facilmente controllabili. La Cultura aiuta ad aprire la mente e a riconoscere la bellezza. Chi vive in Calabria è abituato alla bellezza, ma non sempre sa riconoscerla.

Dopo “Solo”, quali sono i tuoi progetti?

Attualmente sto lavorando a Teatro e in primavera sarò in scena con alcune produzione del Teatro Due di Parma.


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