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Ayala a Foggia: “La mafia non è in rianimazione ma in corsia per accertamenti”
06 Mag 2016 17:21

Ieri sera a Foggia, in Puglia, uno degli invitati a un’iniziativa voluta dai giovani avvocati di AIGA è stato Giuseppe Ayala, magistrato e politico siciliano, collega di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e Pubblico Ministero nel primo maxiprocesso contro la mafia.

Intervistato da TeleRadioErre.it, spronato dalle ottime domande del giornalista, Ayala ha spiegato che “la strategia tradizionale di cosa nostra era evitare lo scontro diretto con lo Stato” ma poi ci fu l’avvento di Totò Riina, “autore del cambiamento drammatico e sanguinario di questa strategia, durato dal 1978 al 1993”.

“Dopodiché – ha continuato Ayala – siamo tornati alla vecchia strategia“, dove l’importante è “inabissarsi” e “non comparire”. Attenzione, però, ha avvertito il magistrato in pensione dal 2011: è sbagliato far derivare da questo la percezione di “un indebolimento di cosa nostra“.

È vero, infatti, che “grazie anche al lavoro dei colleghi più giovani che fanno le cose sul serio, non è questa la stagione in cui la mafia goda di buona salute”, tuttavia, “non è in rianimazione ma in corsia per accertamenti ed è sempre pericolosa”.

Ayala ha poi affermato – e non è la prima volta – che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non erano eroi: “lo dico soprattutto ai giovani perché così non pensano che per contrastare la mafia ci vogliano eroi ma uomini e donne che abbiano i sensi del dovere e dell’impegno per contrastarla”.

Ayala ha anche ricordato la stranezza dell’inserimento della parola ‘mafia’ nel Codice Penale solo nel 1982 e in seguito all’assassino di Carlo Alberto Dalla Chiesa, “il che la dice lunga sulle disattenzioni tradizionali dello Stato nei confronti di questo fenomeno”.

Infine, uno sguardo alle altre ‘mafie’. Per il giudice in pensione guai a fare di tutta l’erba un fascio: la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra, la sacra corona unita hanno ognuna le proprie peculiarità.

“Ho la sensazione, però, – ha ammesso Ayala – che la più pericolosa sia la ‘ndrangheta e poi subito dopo cosa nostra. La camorra, invece, è un insieme di bande priva di vertici strutturati. Ognuna ha la sua storia è il suo modo di essere”.

E la mafia calabrese è più pericolosa delle altre perché si trova dove stanno i soldi, ovvero al Nord: “La mafia, infatti, non è un fenomeno esclusivo del Sud – ha affermato Ayala – anzi, giusto avere in mente una regola ‘banale’: dove può essere la mafia? Ovunque ma io so dove non c’è, ovvero dove non ci sono i soldi“.


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