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Ciro, il dramma del bravo ragazzo di Scampia
25 Giu 2014 09:10

Un lavoratore, un bravo ragazzo, con la passione del calcio, anzi con la passione di una squadra, il Napoli e dei viaggi. Così parenti e amici descrivono Ciro Esposito il tifoso ferito il 3 maggio a Roma, durante gli scontri avvenuti prima della finale di Coppa Italia Fiorentina-Napoli.

Ciro lottava da settimane con la morte e da ieri era entrato in coma irreversibile perché il suo cuore continuava a battere soltanto grazie alla macchine. Poi, la scorsa notte, la triste nota diramata dai medici che non lascia più speranze: Ciro è morto «per insufficienza multiorganica non rispondente alle terapie mediche e di supporto alle funzioni vitali». 

Da subito le sue condizioni sono apparse gravi, ma questi 50 giorni sono trascorsi tra apprensione e sollievo, molti interventi chirurgici e flebili speranze stroncate due giorni fa da un’infezione polmonare che ieri ha fatto precipitare la situazione.

Chi lo conosceva lo descrive come un ragazzo come tanti: 31 anni, ancora a casa con mamma e papà, aiuto infermiere, e due fratelli. E poi la fidanzata Simona e il Napoli. Ed è stato proprio per seguire una delle tante trasferte della sua squadra del cuore che il povero Ciro ha perso la vita.

Prima di quella trasferta maledetta Ciro, nato e cresciuto a Scampia, quartiere difficile della periferia di Napoli, trascorreva le sue giornate a lavorare nell’azienda familiare, un autolavaggio, insieme ai suoi fratelli dalla mattina alla sera.

Poi, come dicono i suoi amici, “lasciava la spugna” e correva allo stadio a vedere il Napoli. E’ stato così anche il 3 maggio quando si è trovato coinvolto in quella rissa a Tor di Quinto vicino all’Olimpico, forse preceduta da un agguato, una rissa finita a colpi di pistola e che potrebbe avere un epilogo tragico. “Un bravo ragazzo che non ha mai avuto una denuncia” raccontava dopo il ferimento Ivo, lo zio materno.

Perchè alla famiglia l’arresto di Ciro con l’accusa di rissa non è mai andato giù. “Ciro e’ un ragazzo splendido e apprezzato da tutti – aggiungeva Susi, la zia – A Scampia gli vogliono tutti bene, è un gran lavoratore e in vita sua non ha mai sbagliato”.

A raccontare la principale passione di Ciro, è stata in più occasioni proprio la madre, Antonella Leardi, sempre accanto al figlio, di un dolore misurato tranne quando si è mostrata indignata proprio l’arresto del figlio i primi giorni piantonato nonostante fosse ricoverato in gravi condizioni al Gemelli.

“E’ una vergogna, mio figlio è solo un tifoso. Da quando era bambino, andava allo stadio di nascosto, l’ho scoperto tardi che andava allo stadio. Ha seguito il Napoli anche quando era in serie C ma non ha mai fatto nulla di male”, disse riportando poi quella domanda rivoltale dal figlio in uno dei pochi momenti di lucidità: “Mamma, ma mi credi? Ci credi che non c’entro niente?”.

Un calvario quello di Ciro tra dialisi, tante operazioni, insufficienza respiratoria ed epatica. I primi tempi si era pensato ad una debole ripresa ma poi “il quadro clinico è peggiorato con una compromissione di tutti gli organi”. Forse per questo le parole che andava ripetendo negli ultimi giorni sono “Non ce la faccio più”.

Nonostante l’affetto dei suoi cari, dei suoi amici e dei tanti tifosi che ieri hanno voluto visitarlo e la speranza della sua Simona che sulla sua pagina Facebook aveva scritto: “Ciro ti sto aspettando”. Ed il povero Ciro, purtroppo, non tornerà più.


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