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Dalla Dolce Vita allo sfratto, passando per la ‘ndrangheta. Chiude il Café di via Veneto
19 Feb 2014 08:23

Le foto di Anita Ekberg e Marcello Mastroianni sono ormai un ricordo ingiallito e la scorsa notte hanno anche rischiato di essere bruciate dalle fiamme. Il Café de Paris a Roma, locale simbolo della ‘Dolce Vita, chiude affogato da debiti e macchiato dalle inchieste giudiziarie sulla ‘ndrangheta.

Questa mattina è stato reso esecutivo lo sfratto del bar in via Veneto, a causa del mancato pagamento dell’ affitto. Un epilogo alla rovescia di un pezzo di storia della Capitale, cominciata negli anni ’60, tra star, cinema e paparazzi. Ed è giallo anche sulle cause dell’incendio scoppiato la scorsa notte nello stesso locale, poche ore prima dell’ esecuzione del provvedimento. “Lo sfratto è avvenuto questa mattina per il mancato pagamento dell’affitto, dopo una serie di difficoltà economiche sulla gestione del locale“, ha spiegato un ex dipendente, licenziato lo scorso dicembre. Poco prima, intorno all’una, c’è stato un principio di incendio, quando all’interno c’erano ancora i dipendenti. Le fiamme sono divampate in uno sgabuzzino sotterraneo, vicino ad uno spogliatoio. Le cause sono ancora da accertare. Nei pressi del rogo c’era una tanica vuota, ma a quanto riferiscono gli investigatori non sarebbe stata utilizzata e non conteneva liquido infiammabile. Tra le possibili cause – secondo i vigili del fuoco – potrebbe esserci una sigaretta accesa. Ma i dubbi restano tanti. “Ho lavorato per anni in quel locale – ha spiegato ancora l’ex dipendente – e trovo difficile che quell’incendio possa essere scatenato da una cicca di sigaretta“.

In poche ore fiamme e sigilli. E un altro residuo della Dolce Vita sembra andare in fumo. Anche se il declino dell’immagine del “Caf锑 cominciò nel 2009, quando il bar fu posto sotto sequestro dalla magistratura antimafia di Reggio Calabria, nell’ ambito di un’inchiesta giudiziaria sulla ‘ndrangheta. Fu infatti accertato che il locale di via Veneto era stato acquistato a un prezzo stracciato nel 2005 da un barbiere nullatenente di origini calabresi, presunto prestanome del boss Vincenzo Alvaro, a cui furono sequestrati anche altri locali nella stessa Capitale. La gestione del bar era stata poi affidata ad un amministratore giudiziario e la chiusura era stata così scongiurata.

Ma non evitata l’escalation di perdite e licenziamenti. L’ex-dipendente ha ricordato le vicende economiche del Café de Paris, spiegando che “anni fa il vecchio gestore non voleva rinnovare il contratto d’affitto e non ha più pagato le quote. Il Tribunale non era riuscito a coprire le spese e nel 2013 aveva deciso di cedere la gestione dell’ azienda. A quanto mi risulta, però, il nuovo gestore non ha pagato il Tribunale per l’acquisizione del ramo di gestione, né l’affitto. Lo scorso dicembre alcuni dipendenti sono stati licenziati. Per lo sfratto, previsto all’inizio del 2014, era stata chiesta una proroga ma non è valsa a nulla“. Secondo alcune voci che circolano tra i dipendenti, fino a qualche mese fa i proprietari dell’intero palazzo – che sarebbero riconducibili agli stessi proprietari della catena di hotel di lusso ‘Shangri La’ – avrebbero voluto costruire al posto del Café de Paris un albergo a ‘sette stelle’. Insomma, dalle star del cinema italiano alle stelle di alberghi dagli occhi a mandorla.


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