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Dall’Italsider alla chiusura di Bagnolifutura. Una lunga storia del Sud
03 Giu 2014 11:10

Per i napoletani: Bagnoli, Italsider e Bagnolifutura, sono l’inizio e la fine di un ciclo. Parole che hanno un significato.

Ma per il Sud e per l’Italia, sono concetti nebulosi. Pur se presenti costantemente sui media.

Vediamo di fare un po’ di chiarezza.

Bagnoli è un quartiere di Napoli, non troppo grande rispetto ai rioni da centinaia di migliaia di persone. Anzi è relativamente piccolo, con i suoi 24.000 abitanti.

Esso è l’ultimo lembo di Napoli prima di accedere a Pozzuoli, ed è il legittimo proprietario della splendida isola di Nisida.

Il quartiere ha avuto una storia particolare, per la sua ampia disponibilità di terre incolte. Esso si prestava bene a vari usi. E sin dal 1930 le autorità fasciste vi posero occhio, costruendovi nientemeno che il Ministero della Guerra. Ma tale struttura ebbe modo di riscattarsi divenendo un orfanotrofio, che ospitava povere anime abbandonate.

Tempo qualche anno e tornò luogo di perdizione. Ivi venivano sistemati i cittadini dell’Est Europa, pronti ad imbarcarsi al porto, destinazione Americhe.

Una brutta situazione di degrado per migliaia di uomini, donne e bambini, abbandonati alle malattie e al destino.

Ma le armi e la guerra, dovevano essere scritte nel dna del luogo. Infatti, sempre a Bagnoli, venne costruita una delle più grandi basi militari della Nato di tutta Europa. Essa, inaugurata nel 1953 chiuse nel 2012.

Ma Bagnoli è anche altro. Siti archeologici, chiese, stabilimenti balneari storici, l’Ippodromo di Agnano ed una vista a perdita d’occhio.

Veniamo alla nostra questione.

La società Ilva, leader delle acciaierie, nel lontano 1905, individua in Bagnoli il possibile sito per una costruzione d’impianti, pari a 120 ettari.

Nel 1910 finiscono i lavori. Tale fabbrica dà occupazione ad una città dove l’occupazione scarseggia. E scarseggia è un eufemismo al ribasso.

Nel 1954, a sud della fabbrica, viene costruito anche un altoforno. E nel 1964 il nome verte in Italsider.

Ma agli inizi degli anni ’70 inizia un calo della produzione. Ed una commissione, nel 1976, individua la crisi della struttura nell’impossibilità di ampliarsi.

E’ l’inizio della fine. Niente sarà come prima.

Nel 1991 l’Italsider chiude ufficialmente. Quello che si può rivendere si vende, anche ai cinesi. Quello che non è più valido si distrugge.

A questo punto si apre la partita che a noi interessa. Solo a titolo di storia e non d’inchiesta,

Il Comune di Napoli si trova davanti alla bonifica del sito e la sua qualificazione.

Bonificare 120 ettari dopo 80 anni di lavoro, con ogni tipo di sostanza, è arduo.

Vi risparmiamo le peripezie. Noi arriveremo alla parte finale: il tentativo di riqualifica.

Su tale operazione si è adoperato il meglio dell’architettura mondiale. Anche Renzo Piano.

Con il sindaco Bassolino si arriva alla soluzione di destinare l’ex Italsider al comparto turistico, produttivo (polo scientifico tecnologico), edificatorio (massimo 2 milioni di metri cubi). Poi arrivano una serie di nuovi progetti, sotto l’egida della Bagnoli S.p.a. nata dal nuovo piano regolatore.

Dopo interminabili dibattiti ed iter burocratici, il comune di Napoli compra alcune aree e costituisce l’ente che dovrebbero dare un’accelerata all’andamento lento di Bagnoli Spa. Viene messa in campo: Bagnolifutura S.p.a. societa’ di qualificazione urbana.

Essa deve terminare la bonifica e mettere in vendita lotti ai privati e soprattutto trovare destinazione degna ai 120 ettari.

E dunque: un bel polmone verde al centro della città, parco dello sport, laghi artificiali, polo tecnologico. Il risultato finale è quello di creare un polo turistico della città.

Ma tristemente, nel 2013, dopo un lustro, il progetto va in crisi. Ed il colpo di grazia arriva con un’indagine della Procura di Napoli che ipotizza il reato di disastro ambientale. Una delle opere, la Citta della Scienza, viene bruciata da ignoti.

La società Bagnolifutura annaspa, cambia i vertici, chiede altri 10 milioni di euro per proseguire.

Il 29 maggio del 2014 il tribunale di Napoli, considerata l’impossibilità di pagare i debiti, dichiara il fallimento della Bagnolifutura, ed i 59 dipendenti vengono posti in cassa integrazione e da reinserire in altri ambiti del comune.

Il nostro racconto finisce qua. E’ raffazzolato, con una vena di narrativa di fondo. Ci si scusa se si è omesso qualche passaggio fondamentale, ma la storia è più o meno questa.

E ci si augura che adesso, per chi ha letto questo pezzo, e non è dell’area partenopea, quando incrocerà sui media Bagnolifutura, possa darle qualche significato.


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