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E l’università di Foggia chiude il corso di Archeologia
28 Dic 2014 07:38

La mobilitazione degli studenti e di alcune istituzioni (non molte, per la verità; si può dire anzi che l’opinione pubblica sia rimasta piuttosto fredda sul problema) non è riuscita a scongiurare la temuta soppressione del corso di laurea magistrale in Archeologia a Foggia, un presidio di ricerca e di didattica su un versante scientifico e culturale di straordinaria importanza per il territorio.

“Un presidio culturale – come si legge nell’appello diffuso da tutte le sezioni dell’Archeoclub di Capitanata –  che in poco più di quindici anni ha contribuito significativamente a cambiare nel nostro territorio la percezione e il senso comune rispetto all’arte, alla storia, al paesaggio e in definitiva all’identità, in un contesto rimasto da sempre ai margini della crescita civile dell’Italia. La scuola di archeologia di Foggia rappresenta un punto di riferimento di eccellenza per la Capitanata, terra ricchissima di archeologia e di testimonianze del passato, e solo da poco attiva nella costruzione di luoghi moderni di conservazione e di salvaguardia del suo patrimonio.”

Tutto ciò non è stato sufficiente a garantirne la sopravvivenza.

Il Senato accademico si è infatti pronunciato per la chiusura mentre gli studenti inscenavano un sit-in di protesta all’interno della sede dell’Ateneo di via Gramsci.

Duro il commento di Giuliano Volpe, docente di archeologia, Rettore emerito dell’Università di Foggia, Presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali e Paesaggistici del Ministero. Volpe ha affidato la sua delusione a un tweet: “Brutta giornata: rettore e senato chiudono il corso di archeologia; non i progetti, la passione,l’impegno, gli allievi.”

Laconico il commento degli studenti sulla pagina facebook del corso: “Game over“. Gli allievi preferiscono affidare all’ironia la loro amarezza, pubblicando una foto in cui si vede la Medusa, assurta in questi giorni a simbolo della protesta, in versione tecno, che dice: “se non ha bisogno di me, signore, io mi disattiverei un po’”.

Peccato, davvero.


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