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Formazione volontari Vides 2014: emozioni di fine percorso
17 Mag 2014 19:23

Partiremo. A breve.

Partiremo verso i quattro angoli del mondo: così esteso, e invece così contiguo.

Così lontano, in verità così prossimo, così a noi già noto.

Verso Paesi diversi, apparentemente lontani: Sud Sudan, Etiopia, Messico; Costarica,  India, Filippine; e ancora: Zambia, Angola, Brasile.

Paesi gialli di deserto:  di terra che volteggia per le strade non asfaltate; verdi di giungle: liane e natura che esplode e non si fa contenere; assolati da lame di luce impietose, e pur così vivificanti.

Partiremo, presto.

E partiremo con in mente la nostra frase “impariamo a diventare Persone – Anfore”.  

Quell’anfora da cui zampilla acqua che rigenera; che disseta; che ristora.

Quell’acqua che bagna le labbra e suscita un sorriso; che cura le ferite, che fa germogliare nuove gemme, che vivifica.

L’anfora da cui sgorga il vino: il sangue condiviso; trasmesso, offerto. Il sangue che non si ferma, ma sempre scorre nelle nostre vene; che resuscita, che rianima, che risveglia.

Quell’anfora che non ha confini: tonda, accogliente: un ventre materno che non si risparmia, che non si limita, che esiste e pulsa per generare: vita, amore, futuro, speranza.

Partiremo presto. Ma, in verità, siamo già tutti partiti.

Per un viaggio cominciato molto tempo fa.

Un viaggio cominciato quando è germogliato nel cuore di ognuno di noi – volontari, suore, ex volontari, coloro che incontreremo,  – la favilla, l’intuizione, il richiamo irrefutabile, di “andare (a cercare)”; di “partire  (per trovare)”; a volte inconsapevoli della meta , solo intravista, percepita, intuita; a volte tirati da una forza che ci sopravanzava: è verso quel “là” che devo andare.

Quasi tutto fosse stato “per caso”. Quel caso, che non è mai caso. Ma leva potente e ineluttabile dietro cui è il senso profondo delle nostre vite.

Un viaggio che si è svelato poco a poco, che ha mostrato il suo volto lentamente: a volte schermendosi, a volte strattonandoci, a volte conducendoci con ali di vento.

Quel viaggio che non avremmo potuto non compiere.

Così, oggi, non stiamo per partire, stiamo solo percorrendo un altro pezzo di sentiero.

Stiamo calpestando, volando, su un altro tratto di strada, già tracciata per noi da lungo tempo;

Avrà la polvere dell’africa? La terra del Messico? L’erba nuova dell’India? O avrà forse il sale delle Filippine? Le  maree dell’Angola?

Qualunque sarà, sarà il colore della gioia, la terra della gente, l’odore della speranza.

Comunque sarà, assumerà la forma dell’intreccio di tutti i nostri sentieri, sarà il reticolo dei passi che ognuno poggerà  sulle pietre, sulle rocce, sulla terra;  il conglomero inestricabile delle nostre e delle altrui emozioni che si propagheranno, moltiplicandosi.

Le nostre braccia vogliono essere, allora, i manici dell’ Anfora: ben saldi al corpo per offrire un appoggio;  ampi e abbondanti; elastici e morbidi; dilatabili senza fine;

Il nostro ventre la sua cavità: che cura, che accoglie, che offre un posto dove quietarsi, dove nutrirsi, dove dissetarsi; un luogo sacro dove addormentarsi e sognare, dove intravedere la speranza, dove rinfrescarsi col sorriso.

I nostri piedi, vogliono assumere la forma  salda dell’Anfora: che non vacilla, quieta ;  che non si crepa e che affonda le sue radici nell’inizio del viaggio la cui alba è la grandezza dello spirito.

Così, saremo un grande ventre, lunghe braccia, instancabili piedi: saremo un’immensa Anfora che disseta, che vivifica, che scuote, che incide, che parla, che canta, che sussurra, che prega, che spera.

Potremo essere così, solo se  sapremo, a nostra volta, accogliere nel nostro ventre l’interezza dei viandanti  che incontreremo sul nostro cammino: noi, pellegrini del mondo.

Saremo Anfore se sapremo dilatare i nostri pori, assorbendo il profumo della pelle di un bambino; se sapremo spalancare i nostri occhi, inzuppandoli delle galassie di altri occhi, inumidendoli della pioggia dei loro pianti, irrorandoli con la rugiada delle loro emozioni.

Potremo essere anfore, se sapremo scorgere nella profondità dei nostri compagni di viaggio, dei viandanti, dei pellegrini,  di chi ci offrirà un alloggio per la notte, un po’ di pane se avremo fame, un intero mondo; un mondo di emozioni, di dolori, di abbandoni; un universo di speranza, di riscatto, di non rassegnazione; una galassia di bellezza, di armonia, di eterno.

Se sapremo osservare che, ciò che vedremo, ciò che incontreremo, non è che il nostro stesso mondo, uno stesso universo, un medesimo intrico di galassie; le stesse che albergano in ognuno di noi, in ogni essere della terra.

Così, potremo allora davvero farci anfore, se ci contamineremo, ci scambieremo, ci avvicineremo; se ci apriremo, ci allargheremo, ci doneremo.

Se sapremo trasformarci un po’ in ognuno dei pellegrini che, al pari nostro, percorrono le strade del mondo.

Se riusciremo a vibrare delle stesse vibrazioni, a sentire sulla nostra pelle lo sesso sole che scotta sulla loro; se capiremo il sapore acre della sconfitta  e, capendolo, sapremo trasformarlo in sapore di ambrosia;

Potremo farci Anfore se i bordi del nostro otre assorbiranno il gusto del sudore, la fatica delle strade percorse per prendere l’acqua, il peso delle taniche  sulla testa;   se la pianta dei nostri piedi toccherà le scaglie di vetro, di cui insieme faremo un caleidoscopio; le nostre mani sanguineranno di ferite che sapranno germogliare;

Saremo una grande Anfora, rossa del suolo australiano, gialla delle savane d’africa, verde della foresta brasiliana;  saremo un’anfora che respira: si gonfia e si contrae ; un grande polmone che propaga l’intero respiro del mondo; una grande sorriso dalla forma di un arcobaleno, che si commuove e sgorga lacrime; che vivifica; che incita; che incoraggia; che esorta; una sola grande mano: che sorregge, perché è a sua volta sorretta; che sospinge, perché è a sua volta sospinta; che accarezza, perché è a sua volta accarezzata; che rettifica, perché è a sua volta rettificata; che scalda, perché è a sua volta scaldata.

Saremo quell’Anfora dentro cui non c’è posto per la rassegnazione, per l’inerzia, per l’abdicazione; quell’anfora che genera da se stessa altra forza, altre sfide, altro sorriso, altra allegria.

Capace di accogliere chi bussa, di stendere un giaciglio per chi è stanco, di spezzare un po’ di pane per chi è affamato.

Questa è l’Anfora che sa “ dischiudere l’orizzonte di senso”, che conduce a “suscitare persone”, che scorge in ognuno l’infinita potenzialità che è in lui, che trasforma lo sconfitto in una farfalla, il rassegnato in un ballerino volante, l’umiliato in un salvatore, l’oppresso in un dispensatore di verità.

Allora, questa è l’Anfora che è capace di “illuminare la mente per far buono il cuore”, che “ spalanca il senso della vita”, “ che vince la morte”, “ che ci riconduce alla fonte della vita”;

E’ l’Anfora dentro cui riposa la dignità, perfezione di ogni singola persona umana; in cui sedimenta il germe della possibilità: essere artefici della propria vita; maieutica vivente di potenzialità; è quell’Anfora in cui aleggia “ l’ossessione dell’incontro”; che include, che assorbe, che eleva , che scopre.

In cui tutti “si lasciano incontrare” , lasciandosi  “ferire dal raggio del Suo essere”.

Buon viaggio, cari compagni


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