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La battaglia e le lacrime dell’assessore Clementina
07 Set 2014 05:32

Clementina è uno scricciolo di ragazza. Minuta e con una voce delicata e sottile ma con una tenacia che non ti aspetti mai dai magri. La sua lettera è un manifesto. Stupendo. Impegnarsi significa lottare. Con se stessi , innanzitutto, e con gli altri. E lottare significa pagare prezzi talvolta alti. E tuttavia tutto questo significa senso, pienezza, vita vera, politica autentica. Qui non si bleffa. Qui non si finge. Grazie Clementina.

Caro Guglielmo,

sono Clementina. Da un anno sono assessore nel comune di Noci (Bari). Mi occupo di politiche sociali, trasparenza e cittadinanza attiva, lo faccio con tutto l’impegno di cui sono capace. Da un anno, ogni sera conduco e vinco la stessa battaglia: quella contro il desiderio viscerale di dimettermi. Funziona più o meno così: torno a casa tardi al termine di una giornata sempre difficile, i gatti miagolano, il mangime è finito, d’inverno la legna è umida. Non ho mai tempo, la casa è un disastro. Accendo la televisione, si vede tutto in bianco e verde tranne un angolino rosso. Prendo il computer, la ‘r’ è saltata, ho 99+ messaggi non letti su Fb, sulle pagine dei gruppi di cittadini del mio comune leggo solo insoddisfazione: sono quella che ‘spartisce i lauti introiti del banco alimentare’, ‘la nano-politica’ che ha trascurato situazioni che meritavano attenzione, che ‘la costituzione per i diciottenni è per farsi campagna elettorale’, che pensa ai migranti prima che ai cittadini Nocesi, che nelle larghe intese ci sta per la poltrona, che se la fa con gli scout perché tramite oscuri legami con Renzi vuole arrivare in parlamento.

Mi viene da piangere, vorrei chiamare qualcuno, ma per quanto litigando con tutti tenti di farlo a turno, capita spesso che i turni si sovrappongono. Le mie relazioni sono compromesse, tutte. Mi sento sola. Quindi un moto di ribellione, un convinto ‘ma chi me lo fa fare’. Una parola che comincia per ‘v’. Chiudo i network e mi metto a cercare opportunità di lavoro in India, perché domani – ho deciso – mi dimetto. Mentre assaporo già la libertà esco a buttare l’immondizia, l’erba sulla via di Castellaneta è già ricresciuta, devo dirlo all’assessore Plantone. Qualcuno ha abbandonato un lavandino e una lastra di amianto nella solita discarica abusiva – l’avevamo appena fatta pulire. I bidoni della plastica sono strapieni, secondo me la ditta ha saltato un turno di svuotamento. Ecco, hanno rotto di nuovo la fontana della villa, è la sesta volta dall’inizio dell’anno.

Eccoli quei ragazzini, forse sono stati loro, hanno i soprannomi pesanti dei genitori, parlano dialetto solo per dimostrare che ‘avete ragione, siamo già delinquenti’, sono già feriti, emarginati, già incazzati neri. Mi sento in trappola, mi rendo conto improvvisamente che fuori dalle mura di casa mia c’è ancora, ovunque, nient’altro che casa mia. La fontana rotta in villa è problema mio, quanto lo è la muffa nel mio frigo. I bambini feriti e il loro futuro mi riguardano quanto mi riguarda la vita dei figli che desidero. E non perché sono assessore, ma solo perché sono una persona che abita questo tempo. Finché c’è un filo di speranza non ho scuse. Mi scappa una lacrima di nervi. Vedo l’India allontanarsi.

Guglielmo, non me ne volere, ma questo è il punto in cui solitamente me la prendo con te. Sì, perché quella speranza che si mette ogni sera fra me e l’India sei proprio tu, tu e quelli come te. E non parlo della speranza che tu possa salvare il mondo, ma della certezza che hai aperto a molti la strada per migliorare un pezzettino di mondo alla loro portata e della speranza, quindi, che tu possa farlo ancora. Tu non autorizzi la mia coscienza a disfarsi della responsabilità che le è toccata. Tu e le persone come te, che senza necessità di predicare e dispensare opinioni, senza camuffare l’accento forte di Molfetta ma senza nemmeno calcarlo per far ridere o per fare paura, scomodano gli spiriti e li mettono a bollire.

Per raggiungere casa tornando dal paese passo davanti alla solita discarica abusiva. La conosco a memoria, so quanti fazzolettini di carta nuovi ci sono ogni giorno. Eppure non mi sono accorta che mentre stavo a contare fazzoletti, in mezzo all’immondizia c’era un seme che è germogliato. Per mesi si è fatto largo nell’erbaccia senza dare nell’occhio. E, quasi non ci credo, in mezzo all’immondizia è nato spontaneo un girasole, ha bisogno solo di un po’ d’acqua. Raddrizzo la schiena, mi rimbocco le maniche e mi rassegno agli errori che sicuramente farò, perché domani – ho deciso – torno a lavoro. Grazie Guglielmo, questa è la forza!“.


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