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La bellezza perduta dell’Italia. Per colpa nostra
22 Gen 2014 06:17

I piccoli centri storici, i borghi arroccati, le piazze geometriche, le torri e i campanili svettanti, le grandi città d’arte, i paesaggi unici e meravigliosi: per secoli l’Italia è stata la capitale indiscussa della bellezza, luogo dell’anima in cui celebrare la perfetta unione tra uomo, natura e cultura.

Mezzo secolo di speculazione selvaggia e trent’anni di cultura fast-food di importazione hanno devastato non solo un patrimonio inestimabile ma anche e sopratutto l’identità culturale di un intero popolo, la sua capacità secolare di vivere e respirare bellezza, di imporre stili, gusti, modelli di vita.

Quante di fotografie come questa costituiscono l’ultima testimonianza di una bellezza perduta?
Quante di queste fotografie sono l’ultima pallida traccia di un tempo in cui la classe dominante in Italia creava il bello?

La conseguenze sono visibili a tutti: oggi le nostre vite e dei nostri figli sono immerse nel grigio del cemento e dell’asfalto, in un paesaggio anonimo e omologante, nelle soffocanti brutture quotidiane che attestano impietose la nostra decadenza, la nostra alienazione, la nostra meritata mediocrità, l’evidente crisi di cui noi siamo i primi responsabili.

Resta dunque una sola considerazione da fare: la nostra incapacità di apprezzare, vivere e creare bellezza dovrebbe almeno essere combattuta con la forza, l’accortezza e l’intelligenza di salvaguardare quello che di bello i nostri padri ci hanno lasciato. Se vi è, d’altronde, una sola possibilità di resurrezione per l’Italia, essa non può che passare dai nostri centri storici, dai borghi arroccati, dal paesaggio e da tutte quelle bellezze architettoniche non ancora deturpate.

Per questo ogni istituzione dovrebbe avere il dovere morale di custodire e preservare quello che sono gli ultimi baluardi della nostra identità. Per questo ogni pubblico rappresentante dovrebbe avere il compito di arrestare con ogni mezzo il progressivo degrado architettonico, culturale e sociale dei centri storici. Certo, spesso le armi a favore degli amministratori sono spuntate e molto andrebbe legiferato in sede nazionale, ma è anche vero che, in più casi, basterebbe un po’ di cultura e di buon senso per avere una visione programmatica più ampia.

Il caso del nuovo teatro occupato di Teramo, la città dove sono cresciuto e vorrei tornare a vivere, mi sembra possa rientrare benissimo in questo discorso. A Teramo, da anni vi è una necessità fortissima di luoghi dove poter incontrarsi, vivere e respirare cultura al di fuori dello stantio circuito accademico e istituzionale. Era un’esigenza della mia generazione ed è ancora tuttora un’esigenza vitale per tanti ragazzi.

Cosa è stato fatto in tanti anni? A parte qualche piccola bella eccezione, poco, molto poco. Il risultato è che, spogliato il centro storico della sua valenza commerciale (oggi perfino il pane si va a comprare al gran sasso shopping) e in assenza di una programmazione culturale integrata, il cuore della città è destinato alla desertificazione, alla svendita e alla colonizzazione. Vogliamo davvero questo? Vogliamo ancora vedere in luogo di una storica libreria, uno stanzone anonimo con distributori automatici di bevande? Molti avranno visto in questo una conseguenza inevitabile dei tempi. Ma davvero vogliamo abituarci ad un simile orrore?

Spetta alle istituzioni cercare di arginare questo fenomeno. Non possono certo intervenire sulle singole transizione private ma certo possono, tramite tutti gli strumenti e i beni di cui dispongono, agire per impedire lo svuotamento della vita sociale e culturale del centro.

A Teramo dunque serve sangue nelle vene, serve vita e dunque anche e sopratutto un nuovo teatro.
Serve una programmazione culturale e una rivalorizzazione integrata delle tante bellezze di cui dispone a partire proprio da un uso intelligente dei tanti immobili pubblici a disposizione.

Per questo, al di là delle convinzioni politiche e non, al di là dei distinguo e delle differenze, la battaglia di Enrico Melozzi e Mauro Baiocco e dei cittadini che hanno occupato gli spazi di quello che era lo storico teatro della città, dovrebbe essere la battaglia sacrosanta di tutti i teramani che
hanno a cuore il futuro e la qualità della vita in città.


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