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La “Cappella Sistina di Sicilia” torna a risplendere. Dopo 46 anni
08 Feb 2014 07:55

Torna a risplendere dopo 46 anni, nella Chiesa di San Domenico a Castelvetrano, quella che è a tutti nota come “la Cappella Sistina di Sicilia“. Si tratta di una delle espressioni più alte del manierismo siciliano, l’opera era stata chiusa al pubblico nel 1968, in seguito al terremoto della Valle del Belice. Ci sono voluti cinque anni e l’impegno dell’architetto Gaspare Bianco della Soprintendenza ai beni culturali di Trapani affinché si restaurassero stucchi e marmi dell’apparato decorativo del presbiterio e si liberassero quei capolavori dai ponteggi. Gli splendidi stucchi furono realizzati da Antonino Ferraro da Giuliana su volere di don Carlo d’Aragona (presidente del Regno di Sicilia dal 1566-68 e poi dal 1571-77, che fu anche vicerè di Catalogna e ambasciatore in Germania). “Il restauro ha costituito un’irrinunciabile opportunità di studio delle tecniche artistiche caratterizzanti questa misconosciuta bottega di ‘cesellatori siciliani’ dello stucco – spiega Bianco – e una straordinaria occasione per un approfondimento e una appassionata ricerca sull’iconografia cristiana e sul valore della forza comunicativa delle immagini“.

Per il Vescovo della diocesi di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero “la riapertura di San Domenico è una vittoria del bello sulla sciatteria, speriamo possa favorire una svolta di stile“. Nell’area presbiteriale sono raffigurati i temi relativi alle profezie e alle prefigurazioni di Cristo: un complesso decorativo che culmina nell’albero di Jesse, costituito da quattordici statue. Il restauro è stato realizzato con la collaborazione dell’opificio delle Pietre Dure di Firenze, dell’Istituto centrale del restauro. “Intere generazioni – ha aggiunto monsignor Mogavero – non li hanno mai visti quegli stucchi preziosi e splendidi che Antonino Ferraro da Giuliana realizzò su volere di don Carlo d’Aragona, vicerè di Catalogna e ambasciatore in Germania. Perché la chiesa di San Domenico a Castelvetrano (appartenente al fondo Fec del Ministero dell’Interno) nel ’68, a seguito delle scosse del terremoto che sconquassarono la Valle del Belice, fu chiusa al culto. E chi lo ricorda, proprio l’anno del sisma fu l’ultimo durante il quale si poterono ammirare quei capolavori nell’abside e nel coro. Da allora un ponteggio montato negli anni ’80 per riparare il tetto rimase lì, come un sipario di ferro a nascondere quella che in tanti definiscono la ‘Sistina di Sicilia’. Buio e ferro per tanti, forse troppi, decennicomplice l’incuria – hanno lasciato in ombra una delle espressioni più alte del manierismo siciliano che, finalmente, oggi tornerà al suo antico splendore (interventi di: Gaspare Bianco, Teresa Pugliatti, Lina Scalisi e monsignor Crispino Valenziano del Pontificio Istituto Liturgico “Sant’Anselmo” di Roma). Ci sono voluti cinque anni e l’impegno dell’architetto Gaspare Bianco della Soprintendenza ai beni culturali di Trapani affinché si restaurassero stucchi e marmi dell’apparato decorativo del presbiterio e  si potessero liberare quei capolavori da ponteggi come gabbie.. Ammirarli, col naso all’insù, è come estasiarsi dinnanzi alla bellezza di un’opera davvero originale che il Ferraro realizzò come capostipite di una illustre famiglia di stuccatori e pittori insediatisi per generazioni a Castelvetrano. L’artista fu chiamato a Castelvetrano da don Carlo d’Aragona ‘Magnus Siculus’ (presidente del Regno (1566-68/1571-77) che, probabilmente, ne aveva ammirato i lavori ultimati nella Cattedrale di Palermo nel 1574“.

 


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