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La maestra uccisa dal Sud
11 Mar 2015 09:23

La maestra Angelina aveva casa al centro della piazza. Era figlia della gloriosa maestra Elia, che aveva insegnato dal 1890 al 1930, tirando fuori generazioni di alfabetizzati.

Angelina aveva assunto il testimone con timore reverenziale, tanto era pesante l’eredità.

Ella aveva sposato un barone del luogo, venuto a mancare prematuramente e questi l’aveva lasciata sola in un palazzo nobiliare al centro del paese. Il palazzo aveva quindici grandi stanze con volte affrescate, l’ingresso con una scala in marmo che si arcuava verso l’alto e delle cantine secolari, che sembravano i meandri di un labirinto.

In tali cantine, si riusciva ad accedere solo alle prime tre stanze, che erano state dei granai, poi, delle scale malcerte scendevano verso il basso, dove la domestica Michelina, non si azzardava ad avventurarsi, per paura dei topi e di certe strane storie di spiriti e spiritelli.

La maestra Angelina usciva di casa, ogni giorno, alle sette per recarsi a scuola. Prima di arrivarvi passava dai negozianti per ordinare ciò che le serviva. Sarebbe poi passata Michelina per portare tutto a casa.

Nel tragitto verso il suo lavoro, la maestra faceva visita ad un’amica, tal Mariuccia. Insieme recitavano un rosario. Saltuariamente capitava di pregare davanti ad una cappellina, che faceva il giro delle case a turno tra una decina di famiglie.

Ognuna di queste, aveva almeno altre dieci famiglie di riferimento per la preghiera.

Così la cappellina veniva venerata da circa seicento persone.

Angelina insegnava in una classe di venti alunni, una terza elementare. In questa vi erano i figli delle famiglie gentilizie del posto, qualche figlio di commerciante e di artigiani. A ridosso del 1940, in quel paese della Basilicata, non era dato accedere a scuola se figli di contadini. Ma non per fattore di casta. La spiegazione era che questi vivevano in campagna con i genitori,  impossibilitati ad accompagnarli giornalmente in paese. Che a volte distava anche quindici chilometri.

Dovevano teoricamente avvalersi di scuole rurali, ma non vennero mai costruite. Il risultato era culturalmente nefasto e va messo nel conto nei tanti mali che hanno attanagliato per secoli il Sud.

La sera Angelina e Michelina si ritrovavano davanti al grande camino del salone. E lì scambiavano due parole prima che la maestra si consegnasse alla lettura.

“Signò, quanto mi dispiace per il povero Don Armando. Diciamogli una preghiera.”

“Era un uomo buono, mi manca tanto. Me lo sogno tante notti!”

“Si, era troppo buono, se lo piangono ancora tutti….Ma scusate signò, ora avete trentacinque anni, non avete mai pensato di sposarvi?”

Era una serata particolare quella in cui venne posta questa domanda. Una sera di metà gennaio, con il vento che soffiava sulle finestre vorticosamente ed il pensiero della bella stagione, ancora lontano. E dove la noia pungeva e faceva  si’ che l’animo si dischiudesse e diventasse più profondo ma anche più impertinente.

“Michelina…che ti posso dire….” la maestra era incerta nel rispondere. “Diciamo che ho avuto delle importanti proposte, ma ho rifiutato. Che figura facevo in paese? E poi…il mio povero Armando mi avrebbe giudicato dal cielo.”

La domestica era una donna fondamentalmente ignorante e quindi poco incline al discrezione. Nella sua mente covavano da anni molte domande, alcune di curiosità altre di conti che non le tornavano giusti.

“Signò, io so che il barone….avete capito chi….dice che per voi avrebbe comprato un castello se lo sposavate. Anche lui e vedovo. Ed è ancora giovane e bello.”

“Michelina….il barone è un uomo rispettabilissimo, ma io devo portare il lutto per il mio Armando. Non l’ho preso nemmeno in considerazione.”

“Ma almeno vi piace?”

“Si è un bell’uomo, ma per me con gli uomini è finita. Io sono vedova, devo pensare solo al mio lavoro. Mi è andata male. Si accetta il destino che ti da’ il Signore. Noi….abbiamo tutto già scritto.”

“Allora…..che io dovevo rimanere senza marito… era già scritto?”

“Si”

“E perché Dio mi ha dato questa malasorte?”

“Un disegno ci sarà. Forse per evitare di diventare vedova come me.”

“Sapete che non ci ho  mai pensato! Magari Dio mi ha protetto. Magari sposavo un marito che mi riempiva di botte!”

“Dio non fa nulla a caso. Quando è morto don Armando ho cercato di capire un motivo.”

“E l’avete capito?”

“Si, forse sarebbero nati due figli storpi ed avrebbero sofferto tutta la vita.”

“Non ci avevo pensato. Certo se non avessimo Dio, come camperemmo? Come potremo farci una ragione?”

Quella sera Michelina andò rinfrancata a letto. Dopo quarant’anni aveva trovato una ragione al suo zitellaggio. Le parole della maestra erano state balsamiche. Nel suo cuore c’era pace. In quello di Angelina no. Le aveva raccontato una storia, come quella che racconta ai suoi alunni.

Prese il suo libro del Manzoni e si mise a pensare. Voleva andare lontano da quel paese e vivere con tutta se stessa. Trovare un uomo e con lui far nascere una giovane vita. Poi un’altra. Ma quel paese l’aveva legata con le catene ad un ruolo. Le catene di un pensiero che aveva dominato per secoli e di cui bisognava recitare il suo credo giornalmente.

Recitare, recitare, recitare.

Ci vollero altri cinquant’anni affinché la recita finisse. Ma quante vite spezzate.


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