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Le #ElezioniUSA e il difficile equilibrio tra stato, democrazia e mercato
12 Ago 2016 11:11

Le elezioni presidenziali Usa, ben rappresentano le tendenze che in definitiva sono in atto in una buona parte delle democrazie occidentali. Per questo possono svelare umori e sviluppi futuri da osservare utili anche per il nostro paese. Nessuno avrebbe scommesso mesi fa un bottone sulla affermazione di Donald Trump nelle primarie americane, ed avrebbe scommesso ancor meno sulla sua possibilità di contendersi alla pari con Hillary Clinton la Presidenza degli Stati Uniti. Trump, con linguaggio molto diretto e con affermazioni fortemente in controtendenza da quello usato dal ceto politico, ha ribaltato ogni pronostico iniziale, giungendo realmente a sperare la vittoria elettorale finale.

Qualche mese fa un mio amico statunitense, autorevole analista della politica d’oltre oceano, mi aveva messo già in guardia circa la difficile prova che i Democratici avrebbero dovuto sostenere contro un candidato repubblicano così fuori cliché. Niente a vedere con altri candidati del passato di quello schieramento, come il dirompente Ronald Reagan dell’inizio degli anni 80. Infatti l’ex attore hollywoodiano sosteneva con forza che il pubblico dovesse in ogni modo ritirarsi dalle attività economiche lasciando solo al mercato il compito di regolatore, ma nello stesso tempo, sosteneva con vigore il ruolo politico Usa negli scacchieri  regionali del globo. Al contrario dell’attuale candidato repubblicano, infondeva fiducia nel futuro, non prendeva di mira pretestuosamente la immigrazione, casomai indicava il modo per regolarla.

Io stesso, giorni fa, reduce da una convention sindacale negli Stati Uniti, per la prima volta ho notato che il candidato della “Grand old Party“, e’ riuscito a fare breccia nell’elettorato delle Unions. Tradizionalmente le Federazioni sindacali di categoria affiliate alla ALF CIO, sono state le roccaforti del voto dei Democratici e non è stato mai pensabile un loro pur minimo disimpegno elettorale per il Democratic Party. Certamente in maggioranza i lavoratori, con qualche mugugno, voterà la Clinton; ma da quello che si capisce, una forza sotterranea per la prima volta si orienterà diversamente.

Sarà che i lavoratori con la lunga crisi hanno maturato qualche risentimento contro l’attuale establishment per i troppi pesi gravati su loro e sulla loro espulsione dalla middle class, sarà che la gestione Obama non è vissuta in modo soddisfacente dai più, sarà che la precarietà economica ha ravvivato sentimenti anti-immigratori, ma la somma di questi fattori si è rivelato vento potente per le vele di Trump. Il suo populismo ha scompaginato la politica americana; il politically correct deriso, rifiutato. Ma il tallone di Achille dei democratici riguarda la percezione che gli elettori hanno della loro “amicizia” con gli ambienti della finanza. La candidata dei Democrats in effetti è ritenuta la più legata a Wall Street e certamente non amata per questa ragione da molti elettori.

Una globalizzazione dominata dalla finanza ha sottratto ruolo alle democrazie che fanno fatica a riconfigurare un nuovo sistema di equilibrio tra il potere del denaro esercitato globalmente e quello delle persone dentro i sistemi politici nazionali. La difficoltà oramai a tenere in equilibrio il potere dello Stato, quello della democrazia e quello del mercato che è abbondantemente straripato a scapito di quest’ultimo.

A ben vedere questo è il tema che influenzerà l’orientamento di gran parte dell’elettorato americano, come le opinioni e scelte degli elettorati delle democrazie occidentali. Nel breve volgere di questi ultimi lustri, i cittadini si sentono impotenti e si vedono cambiare sensibilmente a loro sfavore i rapporti di potere nei già precari equilibri preesistenti tra chi è ricco e chi non lo è. È paradossale che in tali circostanze, siano propri gli schieramenti storicamente cosiddetti progressisti ad essere più spiazzati perché percepiti più vicini a quel dominante ed assoluto potere. Trump insomma rischia di vincere trasportato dall’onda di questi convincimenti, spinta che travolge ogni considerazione tradizionale e fondata su convincimenti consolidati su presupposti di altre epoche.


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