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L’epopea di chi non restò al Sud, in mostra
19 Lug 2013 07:36

Una montagna di valigie. È l’immagine fortissima che accoglie chiunque visiti il Museo di Ellis Island, un “centro d’accoglienzaante litteram che ancora oggi rappresenta una tappa obbligata per chiunque visiti New York e, facendo un tour in battello nella meravigliosa baia di Manhattan, decida di andare oltre la Statua della Libertà.

L’isolotto, a poche centinaia di metri dal simbolo stesso dell’emigrazione di fine Ottocento, è stato il set di “Nuovomondo”, il film di Emanuele Crialese che racconta la speranza e la voglia di riscatto di una famiglia di emigranti siciliani.

Le navi-città che partivano dai grandi porti italiani come Napoli e Genova approdano oggi, con tutto il loro carico di sogni e delusioni, a Cosenza: precisamente a Palazzo Arnone, sede della Galleria nazionale e della Soprintendenza per i Beni storici, artistici ed etnoantropologici della Calabria, dove sarà visibile fino a domenica 15 settembre (tutti i giorni escluso il lunedì dalle 10 alle 18) “Partono i bastimenti”: progettata e promossa dalla Fondazione Roma–Mediterraneo e ospitata dalla Soprintendenza guidata da Fabio De Chirico, la mostra è curata Francesco Nicotra, direttore dei programmi speciali della National italian american foundation (Niaf).

L’esposizione narra (per oggetti e documenti) il fenomeno dell’emigrazione che, tra il XIX e il XX secolo, ha interessato oltre venticinque milioni di italiani – non solo meridionali – che tra il 1861 e i primi anni 60 del secolo scorso attraversarono l’oceano per strappare se stessi e i propri figli alle drammatiche condizioni di miseria del nostro Paese.

I visitatori potranno ammirare una raccolta di memorabilia proveniente da archivi e collezioni private: modelli in scala di navi storiche dell’emigrazione come il “Duilio” (gemello del “Giulio Cesare” che portò in Argentina i familiari di papa Francesco), passaporti, biglietti e documenti di navigazione, libri, giornali, insegne ed etichette dei prodotti tipici italiani.

E ancora ogni tipo di cimelio, lettere, acquerelli e dipinti a olio, poster, valigie, bauli, libretti da messa, strumenti musicali, spartiti originali di tango e “copielle”, piccoli spartiti di canzoni in gran parte in dialetto napoletano.

Presentando la mostra sul Sole24Ore, il filosofo Ermanno Bencivenga, reggino trapiantato negli States, da un lato ha ricordato con affetto «la pasta con le polpette che mia nonna preparava per i lunghi, tardi pranzi estivi a Reggio Calabria»; poi, quando la nostalgia ha ceduto il passo all‘analisi impietosa del presente e al volto dell’emigrazione del terzo millennio, il saggista e docente dell’Università della California ha citato i tanti «ragazzi che tentano il “gran passo”» e «finiscono per cavarsela piuttosto bene».

Lui stesso, che ha lasciato prima il Sud e poi l’Italia appena dopo la laurea alla Statale di Milano, ne è un esempio; e oggi gli indicatori confermano che la tendenza a espatriare (dai tanti Sud ai tanti Nord) è un fenomeno sempre attuale.

«L‘Italia di un secolo fa – ha scritto Bencivenga sul quotidiano di Confindustria – era ingiusta e crudele verso i suoi cittadini quando, invece di educarli e dar loro un’occupazione dignitosa, li costringeva a emigrare.

Che dire però dell’iItalia di oggi? Ad ascoltare le lamentele dei ventenni e trentenni che vi si vedono chiusa ogni strada, si direbbe che crudeltà e ingiustizia non siano diminuite; ma non si è forse aggiunta una buona dose di stupidità? Come giudicare infatti un paese che prima educa bene i suoi figli e poi se ne disfa, cosicché siano altri a godere del loro ingegno e della loro passione?».

Dire che la domanda è retorica – e la risposta scontata – è quanto mai superfluo.


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