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M. Il figlio del secolo, le ragioni di una vittoria
22 Lug 2019 09:56

M. Il figlio del secolo, vincitore del Premio Strega 2019, è un libro necessario e di libri necessari ce ne sono pochi. Oggi come ieri.

Necessario è, per esempio, Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino, pubblicato nel 1947, quasi un instant book sulla Resistenza partigiana. Necessario è Se questo è un uomo di Primo Levi, del 1947 capace di raccontare l’irraccontabile sui campi di concentramento nazisti. Necessario è Il Gattopardo, di Tomasi di Lampedusa, pubblicato postumo nel 1958.

«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi», dice il giovane Tancredi al Principe di Salina nel romanzo di Tomasi di Lampedusa, una frase che è diventata un sostantivo, gattopardismo, a descrivere il carattere di un popolo, il popolo italiano.
Necessario perché racconta, attraverso la finzione letteraria, accadimenti e storie di uomini e donne che hanno partecipato e sono stati protagonisti di avvenimenti importanti per la collettività.
L’Unità d’Italia, la Resistenza, i campi di concentramento nazisti, momenti fondamentali degli ultimi centocinquant’anni della nostra storia sui quali continuare a riflettere per imparare. Il fascismo completa questa tetralogia.

Antonio Scurati in questo libro racconta il fascismo dalla sua nascita fino all’omicidio di Giacomo Matteotti. Quasi un diario che inizia il 23 marzo 1919, giorno della fondazione dei Fasci di combattimento in piazza San Sepolcro a Milano e termina il 3 gennaio del 1925 con il discorso di Benito Mussolini alla Camera dei deputati del Parlamento del Regno.

«Il discorso che sto per pronunziare dinanzi a voi forse non potrà essere a rigore di termini classificato come un discorso parlamentare […] Ebbene, io dichiaro qui al cospetto di questa assemblea ed al cospetto di tutto il popolo italiano che assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il Fascismo non è stato che olio di ricino e manganello e non invece una superba passione della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il Fascismo è stato un’associazione a delinquere, se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico, morale, a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento fino ad oggi».

Un comizio più che un discorso parlamentare come aveva annunciato il capo del fascismo. Tra le violenze di cui si attribuisce la responsabilità c’è l’omicidio di Giacomo Matteotti. Ma ancora una volta, come era già successo in precedenza, messo all’angolo come un pugile che sta per andare al tappeto, riesce a superare le difficoltà grazie anche alla codardia del ceto politico presente in aula, mai come in questo caso degno rappresentante del popolo che lo ha eletto.

«Io sono come le bestie: sento il tempo che viene», per comprendere le scelte politiche, forse anche quelle private, del dittatore di Predappio, è sufficiente questa frase che Antonio Scurati pone all’inizio del libro.
Mussolini è spinto dall’istinto, si muove in modo animalesco, in balia degli umori. Sempre attorniato da adulatori e pessimi consiglieri è, fondamentalmente, un uomo solo. Scurati lo mette a nudo in una condizione primigenia in cui si può scorgere l’origine del male.
848 pagine, una ricostruzione meticolosa degli eventi, alcune imprecisioni, puntualmente evidenziate con particolare cattiveria da Ernesto Galli Della Loggia che elenca anche le dieci pagine in cui sono contenute, che non inficiano e non intaccano un lavoro monumentale mai tentato prima: raccontare il fascismo attraverso Benito Mussolini.

Questa storia inizia nel marzo del 1919 con il comizio di M. in occasione della fondazione dei Fasci di combattimento davanti a un centinaio di persone. Sono in maggioranza reduci della Prima Guerra Mondiale. Ed è proprio tra il malcontento dei ritornanti dalla Grande Guerra e l’ansia di rivoluzione degli operai socialisti, in questo iato che si realizza l’ascesa politica di Benito Mussolini
«Dopo che ha sbaragliato il nemico, incendi la sua casa. E la casa dei socialisti è il loro giornale. La sede milanese dell’Avanti!, bandiera del socialismo italiano […] Quando, verso sera, vi arrivano gli assalitori, la trovano difesa da un cordone di militi in divisa. La loro opposizione è blanda […] Mezz’ora dopo l’intero edificio è in fiamme. In via San Damiano la polizia assiste allo spettacolo dell’incendio spalla a spalla con gli uomini che lo hanno appiccato. Ai pompieri è impedito di intervenire per dare tempo al rogo di consumarsi […] Mentre Marinetti racconta, Mussolini annuisce con la testa […] Mussolini insiste per tornare a casa da solo. Finita l’impaginazione, alle tre di notte, ferma una vettura pubblica trainata da un ronzino. Si va in Foro Bonaparte, angolo via Legnano. Mentre la bestia sfiancata arranca sull’acciottolato, la solitudine del passeggero è perfetta. Una distanza incolmabile lo separa dal genere umano».

Recentemente ho ascoltato Massimo Cacciari discutere di “Storia e destino” davanti a tantissime persone in religioso silenzio, a un certo punto della serata ha detto «Se non lo consideriamo come un corteo di eventi il passato c’interroga e spera in noi».
E Scurati sembra interpretare al meglio il pensiero del filosofo di Venezia e si lascia interrogare dal passato. Rifonda l’antifascismo non più solo su basi storiche, ma utilizza il registro narrativo della letteratura offrendo la possibilità di attraversare la vita di Benito Mussolini da un altro punto di vista. Il giudizio che ne trae è netto: «una distanza incolmabile lo separa dal genere umano».
M. Il figlio del secolo è un libro necessario anche per questa ragione, interrogandosi sul passato apre la strada al riscatto e quindi alla speranza di un presente altro e diverso. Rileggere in questa modalità la storia aiuta ad interpretare meglio dinamiche, atteggiamenti e situazioni che accadono oggi seppur con protagonisti diversi e in epoca diversa.

Per esempio, «I fascisti non vogliono riscrivere il libro della realtà, vogliono solo il loro posto nel mondo. E lo avranno. Si tratta solo di fomentare gli odi di fazione, di esasperare i risentimenti. Nulla, allora, sarà precluso. Non c’è più né sinistra né destra. Si devono solo alimentare certi stati d’animo che affiorano in questo crepuscolo della guerra. Niente altro. Tutto qui». Quante volte ascoltiamo politici, ma anche gente comune, dire la stessa cosa? Non esistono più la destra e la sinistra. Approfondendo e conoscendo il passato e la storia, dunque oggi come ieri, sappiamo che questo concetto viene espresso sempre e solo da persone di destra. Reazionari, conservatori, chiamateli come vi pare.

Uno degli aspetti più inquietanti della narrazione di Scurati è l’acquiescenza rispettosa e pavida dell’autorità costituita grazie alla quale il fascismo si affermò commettendo abusi di diversa natura e andando contro la legge.
Francesco Nitti, capo del governo italiano, così scrive, in una circolare riservata ai prefetti il 14 luglio del 1919, «Nelle città dove esistono i Fasci ed associazioni combattenti […] se essi intendono cooperare mantenimento ordine pubblico ed alla repressione della violenza e tentativi rivoluzionari, faranno opera patriottica, mettendosi volontariamente disposizione autorità medesime e accettandone con animo disciplinato la direzione, la quale non può che essere unica». Qualche giorno dopo, cinque giorni dopo per l’esattezza, il 19 luglio di quello stesso anno, M. così si esprime in una riunione al liceo Beccaria di Milano, «Questo proletariato ha bisogno di un bagno di sangue».

M. Il figlio del secolo, vincitore del Premio Strega 2019

Sembra quasi un gioco di squadra. Sappiamo che non lo è, non lo è stato, ma questo atteggiamento, la non chiarezza di posizioni e la sottovalutazione del fenomeno crearono le condizioni ideali affinché si affermasse la dittatura fascista. Chi invece ha avuto sempre le idee chiare e non ha mai abbassato la guardia dinnanzi al protervia dell’italico dittatore è stato Giacomo Matteotti che, come sappiamo, pagò con la vita il suo dissenso.

Il 2 dicembre del 1921 Giacomo Matteotti prende la parola alla Camera dei deputati e per la terza volta denuncia in modo circostanziato ciò che facevano i fascisti nel Polesine. «Le piccole spedizioni, quelle contro i villaggi, le case dei contadini, non sono mai cessate, le squadre le rivendicano apertamente nei loro bollettini di guerra, le bande girano armate di bastoni, con la divisa della morte, con i revolver, moschetti, bombe, benzina, e restano, come sempre impunite. Ci sono dei morti fascisti, è vero, ma sono morti assalendo le case. I morti socialisti, invece, sono caduti difendendole».

Sembra di ascoltare le parole che qualche anno più tardi, 1947, Italo Calvino ne Il sentiero dei nidi di ragno, fa dire a Kim, «Perché qui si è nel giusto, là nello sbagliato. Qua si risolve qualcosa, là ci si ribadisce la catena. Quel peso di male che grava sugli uomini del Dritto, quel peso che gl’ava su tutti noi, su me, su te, quel furore antico che è in tutti noi, e che si sfoga in spari, in nemici uccisi, è lo stesso che fa sparare i fascisti, che li porta a uccidere conia stessa speranza di purificazione, di riscatto. Ma allora c’è la storia. C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi». E per essere ancor più preciso e puntuale nella prefazione allo stesso romanzo scrive, «Non rappresenterò i migliori partigiani […] ma i peggiori possibili […] Ebbene? Cosa cambia? Anche in chi si è gettato nella lotta senza un chiaro perché […] ha agito una spinta che li ha resi centomila volte migliori di voi, che li ha fatti diventare forze storiche attive quali voi non potrete mai sognarvi di essere!».
La sottovalutazione totale del fascismo da parte dell’autorità è certamente uno degli elementi che ha determinato il corso degli eventi così come li abbiamo conosciuti e li conosciamo, c’è stata però anche una responsabilità oggettiva da parte delle forze politiche presenti in parlamento e in particolare delle forze di sinistra. Una sinistra che, da questo punto di vista, è rimasta uguale a se stessa certamente nell’esercizio in cui è più brava: dividersi.
«Al teatro Manzoni di Livorno il leader comunista Amadeo Bordiga saliva sulla tribuna del convegno e con il consueto tono gelido, sprezzante, lo stile di tutta la sua battaglia, ordinava ai delegati della frazione comunista di abbandonare la sala. I comunisti stando alle cronache, sono usciti intonando l’Internazionale per darsi appuntamento in un secondo teatro, il teatro San marco, a poche centinaia di metri di distanza, dove hanno fondato il Partito Comunista d’Italia».
E dunque nel momento in cui era necessaria un’unione d’intenti tra tutte le forze politiche che non si riconoscevano nel fascismo, i socialisti, da cui il popolo si aspettava la rivoluzione che non arrivò mai, e tutte le forze politiche di opposizione anziché lavorare su un progetto comune per contrastare l’affermazione nelle urne del partito del Duce optarono per una soluzione diversa.
«Risultato: mentre il genio politico del Duce costringe quasi tutti ad entrare in un unico listone fascista, l’opposizione presenterà ben 21 liste. Nemmeno le formazioni più affini sono state in grado di fare blocco tra loro. Morale: tante opposizioni, nessuna opposizione».

Con il voto, ma soprattutto dopo il voto e a vittoria acquisita da parte dei fascisti che riescono ad eleggere tutte i candidati in lista grazie anche ad una legge “sartoriale” cucita su misura da Giacomo Acerbo che prevedeva un premio di maggioranza pari ai 2/3 dei seggi a beneficio del partito che avesse superato il 25% dei consensi, gli italiani cambiano radicalmente le proprie opinioni. Le cambiano in modo omogeneo in tutto il Paese, meno nei grandi nuclei urbani. Più al Sud che al Nord. Un popolo di voltagabbana che stupisce lo stesso Duce.
«Da Milano, Mussolini esulta ma sbalordisce di fronte all’improvviso cambio di bandiera di quei braccianti fino a ieri socialisti e oggi fascisti. Sente la grandezza dell’ora eppure in lui una fibra nascosta di angosciato presentimento trema di fronte alla rapidità del capovolgimento nelle fedeltà dei popoli. Effimero o duraturo? Esteriorità o sostanza? Un’ondata che passa o qualcosa che resta?».

Anche Benito Mussolini cambia idea spesso, in realtà gli va bene tutto e il contrario di tutto. Le rivendicazioni operaie come il pensiero dei padroni delle ferriere. Questo suo essere ondivago è uno dei fattori che hanno generato complicità con una parte numericamente consistente del popolo ed è una delle ragioni per cui si affermò il fascismo. Un uomo nel quale è facile riconoscersi ed identificarsi. Portando Mussolini sul gradino più alto della politica, l’italiano che in lui si riconosce porta in alto se stesso. L’ignoranza e la cialtroneria innanzitutto, una voglia di sopraffazione e di violenza gratuita come quella messa in atto dai fascisti negli anni documentati e narrati in questo libro. Eleva la mediocrità a modello imperante. Per il nostro Paese, incapace d’imparare dal proprio passato, dalla propria storia e dai propri errori, vale oggi quello che valeva ieri.
Man mano che ci si avvicina all’affermazione politica del fascismo la narrazione di accadimenti quotidiani rovescia il paradigma e la storia diventa cronaca. La rivoluzione in cammino viene raccontata giorno per giorno come se fossimo in un social network, post per post. Un incedere senza indugi con un ritmo incalzante senza il quale non sarebbe stato facile giungere alla pagina 848.

Scurati scrive l’autobiografia di una nazione, così come avevano fatto nel secolo scorso i grandi scrittori americani per il loro Paese. Una narrazione in cui trasforma la cronaca in letteratura e dalla quale emerge in modo cristallino il carattere ondivago e l’attitudine a farsi comandare e sottomettere da parte degli italiani.
E nell’attesa del secondo volume della trilogia annunciata lasciamo il Duce con le sue bugie e la morte di Giacomo Matteotti sulla coscienza.
«Poi, di fronte a 500 rappresentanti del popolo e alla solennità della tragedia, Benito Mussolini, mente spudoratamente: “La polizia, nelle sue rapide indagini, si è già messa sulle tracce di elementi sospetti, e nulla trascurerà per far luce sull’avvenimento, arrestare i colpevoli e assicurarli alla giustizia. Mi auguro che l’onorevole Matteotti possa presto tornare in Parlamento».


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